13. Parlami, parlami, ti prego, tu salvami

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«Manuel, io voglio capire solo perché l'hai fatto. Non ci eravamo detti che avremmo agito con tranquillità? Capisci che andare sotto casa di una persona completamente ubriaco ti porta dalla parte del torto?»

La tensione che si respirava a casa di Chicca era palpabile.

La ragazza aveva deciso di affrontare Manuel non appena si era resa conto che si era ripreso.

Gli parlava con tranquillità, non aveva intenzione di attaccarlo ma voleva che capisse il suo sbaglio.

Ma Manuel, ormai, era un uomo distrutto.

Distrutto dalla rottura.
Distrutto dalla notizia della malattia di Simone.
Distrutto dai sensi di colpa per essere così.
Distrutto dalla voce nella sua testa che continuava ad abbatterlo e che lui non aveva più le forze per contrastare.

Distrutto.

E non riuscì a reagire alle parole di Chicca in nessun altro modo che non fosse sfociare in un pianto.

L'ennesimo.

Ché a lui faceva schifo piangere.
Odiava mostrare le sue debolezze ma aveva capito che aveva solo quelle, ormai.

Bere fino a star male era solo l'ultimo dei comportamenti autodistruttivi che aveva avuto nell'ultimo periodo.

Ché, alla fine, a Manuel sarebbero bastate le risposte a dei perché per provare a rialzarsi e credere di valere ancora qualcosa per Simone e per chiunque gli fosse intorno.

E invece nessuno era disposto a tendergli una mano e lui se ne stava lì, sdraiato sul letto di quella che, ormai, era diventata la sua stanza a casa di Chicca, con quest'ultima seduta in un angolino del materasso accanto a lui.

«Manu, per favore, non piangere che mi fai pensare di averti mortificato quando, invece, sono venuta a parlarti con una calma che nemmeno mi aspettavo di riuscire a mantenere»

E Manuel avrebbe voluto risponderle che non stava piangendo per quello che gli aveva detto, ma che lui piangeva perché ormai non riusciva a fare più nulla, che le lacrime sembravano la risposta a tutto, al suo malessere, ai suoi sensi di colpa, al suo senso di inutilità.

Manuel avrebbe voluto risponderle di essere rimasto intrappolato in delle fottute sabbie mobili e che lei avrebbe dovuto lasciargli la mano, altrimenti l'avrebbe trascinata con sé in quel mare di dolore e non avrebbe mai voluto questo per lei.
Chicca aspettava un bambino, doveva essere felice e godersi quella gravidanza, non doveva pensare a lui.

Manuel avrebbe voluto risponderle tante cose ma, di fatto, rimase sotto le coperte, tra i singhiozzi a bearsi delle carezze di Chicca sul suo viso che sentiva di non meritare ma delle quali non riusciva a fare a meno.
In un suo abbraccio, sotto il suo tocco, si sentiva un po' meno un rifiuto e cercava di cullarsi in quei momenti il più possibile.

«Non…non volevo» si schiarì la voce «beve così tanto, dico. 'N volevo. Volevo solo spegne i pensieri pe' qualche ora, solo che poi me ignorava, capisci? Scostava 'a tenda e guardava e 'n faceva niente, se guardava 'o spettacolino senza la minima reazione. E 'n quer momento, n'o so Chì, ho perso la testa. Scusa»

E si sentiva così ridicolo, ché ormai la sua vita era un loop di sbagli intervallati da scuse per poi ripetere nuovamente gli stessi sbagli.

«Ho parlato con Daniele» esordì Chicca, ignorando le scuse di Manuel, ché continuare a parlarne significava soltanto girare il coltello nelle ferite dell'amico «e…e le cose non stanno come pensavamo noi»

Manuel si voltò il tanto che bastava per incrociare gli occhi della sua amica.

«In che senso?»
«Mi ha spiegato come sono andate le cose. Simone non ti ha tradito, te l'ha detto solo per allontanarti da lui»
«E questo me dovrebbe rende felice?» rispose ironicamente Manuel.
«Non dico questo, però, almeno sui sentimenti che prova per te puoi stare tranquillo»

I'll be coming home, wait for meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora