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LEONOR

   Un fascio di luce mi cala sugli occhi e mi costringe ad aprirli. La stanchezza ha messo radici nel mio corpo, talmente in profondità che non è facile uscirne, e risvegliarsi circondata dal fetore di escrementi e brandelli di carne in decomposizione non aiuta. Ah, quei topi non potrebbero andare altrone a morire?

   Sento ogni muscolo ribellarsi ai miei movimenti e ho come la sensazione di aver varcato una soglia che non avrei nemmeno dovuto intravedere.

Mi sono spinta decisamente oltre ogni limite. E peggio c'è il fatto che ho promesso di andarmene. Una promessa, quella, che non potrò mantenere e per la quale Cassian e Trevor non mi perdoneranno mai.

Ho fatto troppo affidamento su quel titolo che mi hanno affibbiato, quello che ho sempre odiato con ogni briciolo di me stessa. Sopravvissuta. Inizio a credere che presto varrà ben poco e che attorno ai focolari si narrerà della preda preferita dalle Bestie, cresciuta al pari di un bestiame affinché potesse tornare nelle loro fauci vent'anni dopo il massacro di Tabar.

Mentre percepisco lo zampettare di qualche topo ancora vivo negli angoli nascosti e umidi delle celle lontane, penso al fatto che questo è il sesto giorno che passo qua dentro e quello che mi stuzzica le guance è il sesto sorgere del sole a cui assisto da prigioniera.

Mi accarezza con prepotenza filtrando attraverso le fessure troppo alte e strette per poterle usare come via di fuga. E, se mai riuscissi a trovare altri modi per uscire da qua, dove mai potrei andare? Me lo sono chiesta spesso, con la luna che rischiarava le nubi, e poi ancora con il sole debole dell'autunno che accarezzava alle mie gambe. Come potrei sperare di uscire dalla roccaforte e tornare intera a Lut'heln? La mia balestra è finita chissà dove, insieme ai miei adorati pugnali, sottratti da quel Lupo che si finge un uomo.

   Mi tormento pensando alle sue mani che mi strappano le armi di dosso. Le sue dita che mi sfiorano i fianchi per estrarre i pugnali dal fodero e poi si infilano nel corpetto per far suoi pure le fiale di veleno. Deve averne percepito la fragranza, e mi ha lasciata completamente disarmata.

   Da allora immagino quel suo ghigno – lo stesso che ha anche da Bestia – allargarsi e mostrare i canini bianchissimi.

   Nella mia visione i suoi occhi brillano di malignità tra le spesse ciglia e la pelle arrossata della cicatrice. È una malignità assai luminosa, dorata quanto quei pochi gioielli che ho avuto la fortuna di veder porgere come ricompensa, al posto delle solite monete richieste dalla Congrega.

Rivedo ogni particolare del nostro incontro quasi lo rivivessi, qui ed ora. Come se fossi di nuovo in quella sala di marmo, sopra a quel pavimento che risucchia ogni certezza e in mezzo alle carcasse dei Lupi che ho fatto fuori assieme a Cassian.

   Desiderando di poterlo prendere a pugni, mi sposto su un fianco raggomitolandomi per vincere i brividi che l'aria del mattino rigetta nelle ossa.

   Mi accontenterei di poter afferrare il suo ricordo. Sarebbe un modo per allietarmi il tempo trascorso in prigionia.

   Il rammarico è tanto. Solca profondi graffi per tutto il mio corpo e come una scintilla graffiante attizza il dolore delle mie vecchie ferite.
Quanto avrei bisogno di quegli unguenti miracolosi che solo Petunia sa preparare tra i vapori del suo laboratorio...

   Petunia... A quest'ora si starà preoccupando come mai in vita sua. Vorrei tanto poterla abbracciare e chiederle scusa per averle mentito. Non mi era possibile affidarmi del tutto agli altri, non in queste circostanze quando vita e morte anellano a fondersi in un depravato dondolare del destino. Perché è sufficiente un guizzo per finire sotto terra.

Sangue e Petali d'ArdesiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora