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GARETH

   «Ti voglio qua, con me.» Un eco riverbera sordo, così lontano da essere confuso con il ricordo impreciso di un sogno. È tutto annebbiato, cambia sfaccettature più mi sforzo di ricordarne i dettagli. In questo caso cerco di ricordare le parole.

Increspo le labbra e la mia voce si ripete. Chiara. Non lascia spazio a dubbi. «Ti voglio con me, Nor.»

   Ecco cosa ho detto.

   Queste parole hanno un sapore così insolito. Pungono la gola come arbusti spinosi e la graffiano insistenti spingendo per venire alla luce. Sono parole forti, inequivocabili, una matassa indistinta di rovi che fiorisce dalla mia bocca. Ma non sono sicuro di aver fatto la scelta giusta. Anzi, queste parole sono decisamente degli azzardi. Puri e semplici azzardi. Leonor non manca di farmelo notare: mi scruta interrogativa, le sopracciglia aggrottate così come la fronte. Un moto di sincero stupore le colora le guance, è talmente pallida che il rossore affiora immediatamente.

   È... buffa con quell'espressione, per poco mi dimentico di quanto possa essere letale.

   «Non dire balle!» sputa non molto dopo. Allora tutto ripiomba nella monotonia: lei che mi minaccia e cerca di uccidermi e io che la incoraggio con gli angoli della bocca rivolti verso l'alto e con fare da sbruffone mentre aspetto di scoprire le sue prossime mosse.

   Leonor pensa che la prenda in giro, mi fa tenerezza ma come darle torto.

   La osservo, mi sta aspettando. Sta aspettando una mia reazione, una che non abbia già visto e che possa darle il segnale d'inizio. E a quel punto, lo vedo io: nei suoi occhi sfarfalla una scintilla sinistra. Una scintilla di... sospetto.

   Io stesso fatico a capacitarmi di quello che sta succedendo, di quanto l'essere tradito da Joy e il vederla risucchiare dalla nebbia mi abbia scosso.

   Una attimo. Scosso? Io?
Il mio petto sobbalza sotto il suo sguardo. Già. Devo essere proprio scosso.

È stato così, tuttora è così. Sono senza appigli. Per la prima volta non ho idea di come comportarmi, ogni mia certezza è venuta meno in un lampo. Il mio migliore amico – no, il mio unico amico – si alleato con il mio peggior nemico. La maledizione su di lui ha assunto forme diverse, forme in grado di ferirmi gravemente. Non riesco a trovare una risposta che possa spiegarmelo. Nemmeno una illogica. Come se ciò non bastasse, Leonor continua a piombarmi tra i piedi.

   Non so se Joy abbia ragione su di lei, e nemmeno ci tengo a saperlo. Tuttavia, se c'è una cosa che ho imparato, è che l'istinto poche volte inganna. L'istinto è una mappa con indicazioni precise. Una lettera scritta a caratteri così grandi che non necessito di candele per leggerla nella penombra. È diretto, senza troppi fronzoli. Annusa una scia nell'aria, la segue. Vede una preda, la sbrana. E quando Leonor è sparita con Joy, quello stesso istinto si è contorto. Si è accartocciato su se stesso come un pezzo di carta vecchia e polverosa, pronto a essere gettato tra le fiamme. Una lettera troppo privata per rischiare che altri la leggano. E su quella lettera c'era scritto il suo nome: LEONOR.

   Senza di lei il buio mi ha raggiunto come non mi era mai capitato, complice anche la mancanza di Joy e di ogni mia certezza ovviamente. Non è solo colpa della cacciatrice... Non può esserlo.

   Malgrado ciò, è stato in quel momento che ho trovato Leonor non poi così oscura. Dopotutto, è più simile a una lanterna che brilla fioca nella notte. Una lanterna non troppo pericolosa, posta di fianco a un calderone pieno di olio bollente. Il pericolo sta nel maneggiarla: un poco di disattenzione e una piccola scintilla è capace di generare un'esplosione.

   «Dimmi di chi si tratta.» La lama è fredda sulla mia gola. Credo proprio che se non la accontento entro qualche minuto, lei me la conficcherà in profondità.

Sangue e Petali d'ArdesiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora