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GARETH

   Una scarica mi pervade. È come essere colpito da un fulmine. Finissimi spilli mi pungono con violenza e i muscoli diventano duri come la pietra. Pesanti.

   Il sangue freme nelle vene, un'ombra corre al loro interno. Fredda e col ghigno sadico sul volto esangue, questa mi chiama in un sussurro che ha la forza di scuotere ogni fibra del mio corpo, di riportarlo a com'era prima che mi avventassi sulla cacciatrice. Torno di nuovo padrone del mio corpo anche se non completamente.

   Lunghi brividi drizzano il mio pelo.

   Quell'ombra... Quell'ombra ha un volto che conosco, una voce che conosco. Li percepisco. Entrambi mi inseguono da tempo e adesso sono scivolati fuori dalla mia mente, dai miei sogni, dai miei ricordi. Sono fuoriusciti per mostrarsi con contorni nitidi dietro alle palpebre serrate.

    Com'è possibile che sia bastato un tocco perché il passato riaffiorasse, mi chiedo. Un passato marcio fino al midollo.

   L'ombra sfarfalla, nutre l'elettricità che mi ha ricacciato indietro e lascia un retrogusto acre anche dopo che se n'è andata.

   L'aria si muove attorno a me, poi un tonfo riempie i miei sensi. Cado sulla schiena, gemendo per la sorpresa. Affondo gli artigli nel terreno per trovare un punto saldo a cui aggrapparmi e recuperare la ragione. Quello che ho visto non può essere reale, tanto meno quello che ho sentito. La sua voce non è reale. Non più.

   Scuoto il muso, stordito. Poco lontano anche quella cacciatrice sfacciata cade. Al contrario di me però, lei rotola su di un fianco, agile. Strizza gli occhi per il dolore e rabbribidisce. La scarica deve aver colpito pure lei. Il suo è un dolore che avverto anch'io.

   Anzi, è lo stesso! Deve essere così.

   Come uno strappo si è fatto spazio sulla pelle, quasi fosse sul punto di essere squarciata. Ogni strato divelto fino all'osso.

   Non è la prima volta che ci tocchiamo... Mi domando perché non sia già successo in quel cimitero. Perché non allora...

   Assottiglio lo sguardo.
La cacciatrice si lamenta, labbra strette in un linea dura mentre incassa la testa. Si nasconde per non far arrivare a me la sua voce. Ma non le riesce.

   Io la osservo, il muso inclinato di lato.
E penso... penso che avrei dovuto sbranarla su quella tomba. Avrei dovuto lasciare che il suo sangue colasse copioso sulla lapide e macchiasse quei gigli impuri che la decorano. Non dovevo preoccuparmi dello spreco.

   Se non mi fossi trattenuto, adesso non mi sarei dovuto occupare di questo problema. Del passato.

   Avrei dovuto fare quello che mi riesce meglio fin dal principio. Poco importa quanto pregiato sia il suo sangue: avrei dovuto ucciderla.

   «Merda» La cacciatrice impreca. Si puntella sui gomiti, poi alza di scatto il capo per tenermi d'occhio. Per studiarmi, me e i miei movimenti. Ha la fronte solcata da una ruga espressiva. È arrabbiata. Persino da dove sono posso vedere le sue labbra sporche di fanghiglia fremere violentemente.

   D'improvviso spalanca gli occhi.

   «Merda...» Le foglie secce e umidicce a contatto con il terreno ricoprono le sue mani. «Merda!» ripete. È agitata. Furiosa. Continua a tastare attorno a lei. Deve aver perso il pugnale con cui mi minacciava.

   Faccio un passo in avanti e subito lei reagisce.

   «Non muoverti!» Un altro pugnale scivola fuori dal suo fianco, la punta scintilla verso di me.

Sangue e Petali d'ArdesiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora