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LEONOR

   «Mynthae, adesso puoi chiuderlo in cella, e ricordati di incatenarlo. Voglio che tu rimanga a guardia. Non parlarci. Non permettergli di usare la sua magia fino al mio arrivo.» La lupa non si muove. «Obbedisci, subito

   Mynthae china il lungo collo, remissiva. Vederla così mi provoca un nodo allo stomaco. È una scintilla di dispiacere quella che provo per lei, nonostante mi abbia sempre ringhiato contro con tanta foga e odio. Prende Joy per il colletto della blusa e se lo carica sulla schiena privo di sensi, il sangue gli cola dal naso che sembra rotto.

Mynthae rientra a palazzo a lenti passi ancheggianti. Pare stanca, per cosa però non lo so. È possibile che il pessimo carattere di Gareth le abbia dato filo da torcere in queste ultime ore.

   «E tu» Adesso è su di me che Gareth riversa la sua furia, e quel suo temperamento schifoso. «Non muoverti.»

   Divora la distanza che ci divide, creandosi un sentiero tra l'erba rugiadosa.

   «Cosa» Ritrovandomelo vicino, d'istinto serro il pugno attorno al manico freddo del pugnale. Che Lioniel me lo abbia lasciato per finire il mio lavoro? Dopotutto – da quello che ho capito – è proprio questo il suo intento: che la cacciatrice finisca nel migliore dei modi la sua caccia. Vuole che io uccida Gareth.

   I nostri petti si sfiorano nel mentre che l'alba rischiara il cielo. Le sue spalle sono larghe, bloccano a tratti la luce, mi ritrovo a strizzare le palpebre quando il sole scappa alla sua ombra.

   «Toglitelo.» Aggrotto la fronte. Gareth posa su di me i suoi occhi languidi, dorati come pochi gioielli che ho avuto la fortuna di vedere nella mia vita. «Togli quel vestito» chiarisce lasciandomi di stucco.

   «Se non ti piace, non posso darti torto, ma al momento abbiamo altro di cui discutere.» Come ad esempio il fatto che Joy lo ha tradito, ma non come lui crede. Non lo ha fatto con cattive intenzioni. Direi che ha commesso un errore sperando di fare il suo bene. Tuttavia Gareth non vuole sentir ragioni. Le sue grosse mani scattano e afferrano il primo strato di stoffa della gonna. Uno strappo e apre uno squarcio verso le mie gambe. Il gelo del mattino entra prepotente sotto la gonna, e si fa spazio fin dentro il corsetto stretto.

   Gareth strappa ancora il vestino. Inferocito tira il tessuto una, due, tre volte. Sul petto, sulle spalle. Strappa finché rimangono brandelli indistinti che mi penzolano dai fianchi e dalle spalle.

   Con i brividi che mi ricoprono il corpo guardo cadere una dopo l'altra le strisce di pizzo e tulle. Si adagiano l'una sull'altra mentre filamenti seguono l'alito sottile del vento.

   «Hai addosso la sua puzza» esclama, una nota di crudeltà palpabile in ogni sua parola.

   Miele e magnolie non la definirei puzza, ma temo non si riferisca ai profumi che Selene ha cosparso sulla mia pelle.

   Come la più sciocca delle ragazzine impallidisco al pensiero delle labbra di Lioniel che toccano le mie.

A riportarmi in me ci pensa Gareth. Spalanca gli occhi. Ha visto il pugnale che nascondevo nella manica a sbalzo, ora rimasta appesa al mio polso, e io agisco d'istinto, portandolo alla sua gola.

   «Non provare a muoverti.»

   Lui ride. I canini spuntano bianchissimi pungendogli il labbro inferiore.

   «Affonda la lama» mormora. Risale le mie braccia solleticandomi con i polpastrelli e guida la mia mano fino al punto esatto: in prossimità della giugulare che pulsa in superficie. «Esatto, è proprio lì il punto.» Le sue mani ruvide mi mandano dei brividi, percorrono le mie braccia nude. Sono come fuoco su di me.

Sangue e Petali d'ArdesiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora