Addii da sussurare

108 5 0
                                    

JOHN

Erano passate poco più di due settimane da quello sgabuzzino e più il tempo scorreva, più io riflettevo. Mi torturavo.
Skyler era fantastica, lo sapevo, ed oramai mi ero rassegnato all'idea di avere un debole per lei.
Sembrava essere come un piccolo angolo di cuore fuori controllo, che batteva per lei sfuggendo a ciò che la mente riteneva corretto.
Era tanto potente quanto logorante.
Lo sentivo battere senza sosta, ogni minuto di tutte quelle giornate accumulate in settimane.
Sapevo quanto tutto quello non avesse rimedio, ma sapevo anche quanto ogni cosa del nostro strano legame fosse tremendamente sbagliata.
La verità era che non avrei mai dovuto lasciarmi andare con lei, non perché me ne pentissi, ma per quello che eravamo noi, per i nostri stupidi ruoli.
Continuando quel gioco avrei messo in pericolo entrambi e la cosa che volevo di più al mondo era che lei fosse felice, senza pensieri e preoccupazioni, anche se questo comportava il doverla lasciare andare.

Forse mi avrebbe dimenticato o forse odiato per sempre, ma l'unica certezza che avevo era che non sarei mai stato felice senza lei.

E come avrei mai potuto?

Skyler era una stella del cielo.
Tanto intensa da riuscire a concedere vita anche a chi di vita non ne aveva più.
Capace di scovare la strada per illuminare la mia anima smarrita, non essendo cuocente e nemmeno agghiacciante, essendo solamente lei

E per quanto il pensiero di lei fosse capace di scaldarmi il cuore, sapevo che tutti quei mesi spesi in università, tutte le lezioni e le pause pranzo, tutti i corsi e gli incontri casuali... sarebbero rimasti nel passato.
Non avrei rischiato di rovinare il suo futuro perché il mio cuore aveva scelto la strada più impossibile di tutte.

E così, mentre raccoglievo le mie ultime cose, mi ritrovavo ancora a pensare a lei.

A lei come un immaginario
che non avrei mai raggiunto.

Ai suoi occhi.

Al suo sorriso.

Alla sua voce.

Ai suoi capelli.

Alle sue labbra.

Al suo corpo.

Ogni parte di me mi spingeva verso di lei.
Non riuscivo a starle lontano. E più tentavo di farlo più il mondo cambiava direzione.
Questo rincorrersi mi stava facendo uscire fuori di testa.

Io volevo lei.
Io volevo conoscerla.
Volevo sapere ogni cosa di lei.
Ogni dettaglio.
Volevo capirle l'anima.

Eppure, nonostante tutto il bisogno che avevo di lei, c'era qualcosa che ci teneva separati.
Una forza che voleva dividere le nostre strade.

Perché più desidero una cosa e più è difficile ottenerla?

Perché avevo tirato i dadi di questo gioco?

Faceva così dannatamente male il pensiero di non poterla raggiungere.
Quel senso di incompletezza che accompagnava tutte le mie giornate. Quel maledetto nodo alla gola quando la vedevo con un altro.

Stavo impazzendo.

Sentivo dentro di me un fuoco trasalire ad ogni passo che facevo per arrivare in quell'aula.
Ogni mattina. Ogni ora che avevo con la sua classe. Ogni ora che avevo con lei.
Mi sentivo costantemente senza controllo.
Le mie barriere crollavano ad ogni sguardo rubato. Ad ogni sorriso. Ad ogni risata.
Sentire il suono della sua voce mi rasserenava e rassegnava allo stesso tempo.
Avrebbe potuto parlare di qualsiasi cosa, per ore ed ore, che io l'avrei ascoltata senza sosta.
Questa cosa, però, non poteva continuare.
Oramai avevo preso una decisione e razionalmente sapevo che fosse la scelta migliore.
Anche se il cuore non lo voleva proprio accettare.

* flashback *

<<Ecco i documenti necessari per finalizzare il licenziamento>>, dissi schiarendomi la voce.

<<Ne è proprio sicuro signor Carter? Per la nostra università lei è una risorsa fondamentale e non vorremmo che ci lasciasse>>, rispose il preside poggiandoli sulla scrivania.

Credimi, nemmeno io vorrei.

<<Ho semplicemente capito che insegnare non fa per me, perciò le do il preavviso di due settimane e dopodiché uscirò da qui>>.

Che razza di bugiardo.

<<Posso farle una richiesta?>>, mi voltai verso di lui poco prima di uscire dall'ufficio.

<<Mi dica>>.

<<Può non dire niente ai miei studenti? Sa non vorrei creare disagio per niente>>, dissi.

<<Certo>>.

* fine flashback *

Quel giorno feci lezione come se niente fosse, come se andasse tutto bene, come se non sentissi il mio cuore marcire allo scorrere di ogni minuto. 

Quando vidi Skyler sedersi infondo alla classe il mio cuore saltò un battito. Era stupenda.
La mia mente tornò a quel bacio e la sensazione delle sue labbra sulle mie diventò una necessità.
Avevo bisogno di lei.
Mi persi talmente tanto tra i pensieri che non mi resi conto di averla in piedi di fronte a me.

<<Professore?>>, modellò quella parola tra le labbra e il mio sguardo vi si posò per troppo tempo. E lei lo notò.

<<Mi dica Lewis>>, risposi obbligandomi a guardarla negli occhi, anch'essi belli come non mai.

Sentivo la necessità di imprimere quel suo volto nella mente per sempre, di coglierne ogni dettaglio, così che almeno nei miei pensieri lei potesse non essersene mai andata.

<<Volevo chiederle se questo pomeriggio la trovo a scuola, avrei bisogno di parlarle>>, disse posando lo sguardo per un piccolo attimo sulle mie labbra.

Mi stava facendo fremere.

<<Certo>>, mentii guardandola negli occhi e non potevo sentirmi più uno schifo di così.

Mi sembrava di guardarla per la prima volta, quando in realtà quella sarebbe stata l'ultima.

Nel pomeriggio infatti non l'aspettai.
Uscii velocemente dall'edificio per dirigermi verso la fioreria vicino casa per ritirare ciò che avevo fatto preparare il giorno prima.

Presi il mazzo di rose e lo osservai per un tempo indeterminato. Mi sentivo così stupido.

Non mi avrebbe mai perdonato.

E nemmeno io me lo sarei mai concesso.

Avrei dovuto prendere la situazione in mano, fare l'adulto e allontanarmi da lei senza doverlo fare fisicamente. Però non ci riuscivo.
Ogni volta che la guardavo i miei buoni propositi si fottevano e il desiderio che avevo di lei prendeva il sopravvento.
Così feci ciò che mi sembrava più giusto e mi diressi verso il suo appartamento. Mi ricordavo dove abitasse nonostante l'avessi accompagnata lì solo una volta, dopo il suo compleanno.
Scesi dalla macchina e poggiai il mazzo di rose per terra, ma quando feci per andarmene una signora dal balcone richiamò la mia attenzione, chiedendomi per chi fosse quel gesto tanto romantico.

<<Sono per la signorina Lewis>>, risposi.

Più che romantico quel gesto era codardo.
Era il gesto di un uomo che non sarebbe mai riuscito a dirle addio guardandola negli occhi.

Prima di lasciare il pianerottolo legai fievolmente un biglietto con un nastro bianco a quelle mille rose nelle quali ora riuscivo a vedere solo spine.
Lo guardai per l'ultima volta e, seguito da una folata di vento, me ne andai.
Quella volta per sempre.

"Smetterò di pensarti solo
quando l'ultima rosa di questo
mazzo appassirà".

Quello che lei però non sapeva, era che una di quelle rose era di plastica.

Complici dello stesso giocoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora