Fabio, con il capo chino, uscì dall'edificio e si diresse al muretto dove le due amiche erano ancora sedute a chiacchierare. Non appena Imma lo vide diede di gomito a Eleonora e lo indicò con lo sguardo; dopo essersi scambiate un'occhiata compiaciuta, si prepararono ad accoglierlo: Imma si mise in piedi e incrociò le braccia con aria sorniona, Eleonora, invece, sistemò in modo frettoloso i capelli.
Fabio si fermò di fronte a loro e si schiarì la voce con un colpetto di tosse. – Scommetto che avete con voi qualcosa per far luce. – disse, con lo sguardo rivolto al terreno.
Eleonora sorrise e, senza parlare, estrasse una torcia elettrica da una busta di carta che teneva nascosta dietro il muretto. Fabio la guardò e si lasciò sfuggire un flebile sospiro. – Grazie. – disse – Ne avevamo bisogno. Avevate immaginato bene... – fece una breve pausa – ...a meno che non sia stata Sarah a suggerirvelo.
Eleonora, con un risolino impertinente, fece spallucce e gli allungò la torcia. Fabio la prese e nel farlo, involontariamente, le sfiorò la mano. Il suo viso si incendiò come un campo secco in estate e di colpo si sentì privo di energie quasi da accasciarsi al suolo come un vestito vuoto. Imma si accorse del suo imbarazzo e si coprì la bocca con le mani per nascondere una risata che non passò inosservata a Eleonora che, con una spinta, la sbilanciò e la fece cascare su di un soffice cespuglio di fiori campestri dall'altra parte del muretto. Fabio, riavutosi, afferrò la torcia e, in tutta fretta, si allontanò dirigendosi alla vecchia costruzione.
Ancora con il cuore in subbuglio, si affrettò a raggiungere i suoi amici e si concentrò sull'oggetto che stringeva nella mano. Era di color verde militare e, a prima vista, poteva essere scambiata per una piccola radio anche se priva di antenna. Frontalmente presentava una lampada quadrata mentre su un lato c'era il bottone di accensione che poteva essere attivato con un pollice. Fabio la accese e osservò il suo fascio di luce: non gli parve granché potente, ma immaginò che questo potesse dipendere dalla luminosità dell'ambiente nel quale si trovava. La spense e raggiunse gli altri.
– Eccomi ragazzi. – disse – Avevano una torcia elettrica e me l'hanno consegnata. Adesso, grazie a loro, possiamo continuare a esplorare la stanza sotterranea.
Ettore allargò le braccia. – Certo che potevamo pensarci anche noi.
– Lascia perdere, – fece Andrea. – e torniamo alla nostra missione. – Detto questo allungò una mano verso il fratello. – Dalla a me che questa volta vado io là sotto.
Fabio gli consegnò la torcia e Andrea la soppesò, poi la accese e la puntò su una parete illuminando, con un pallido disco di luce, alcune nicchie.
– Funziona. – disse.
– Lo vediamo anche noi che funziona. – disse Orzowei. – Adesso però, vuoi andare o hai ancora intenzione di giocarci?
Andrea, per tutta risposta, gli puntò la luce dritto negli occhi, abbagliandolo.
In seguito, con grande calma, percorse quei gradini illuminandoli con la luce della torcia che, a ogni passo verso il basso, sembrava diventare più intensa. Quando raggiunse il livello del calpestio si fermò e la puntò in tutte le direzioni per ispezionare l'ambiente. Piccoli moscerini sfrecciavano, scintillando come faville, attraverso il fascio di luce e un odore di muffa impregnava l'aria umida della stanza; il suolo, ricoperto dal terreno che si era accumulato in anni di abbandono e incuria, era morbido e a ogni passo i piedi affondavano di qualche centimetro. A un tratto Andrea notò impronte di scarpe dappertutto e proprio in quel momento fu raggiunto dagli altri che arrivarono alle sue spalle e lo fecero sobbalzare.
Tutti insieme osservarono quello che la luce della torcia rivelava nei suoi spostamenti: era un ambiente simile a quello dal quale erano venuti, con le solite nicchie sulle pareti. Sembrava, però, che questa stanza fosse meno alta, infatti bastava allungare una mano per sfiorare il soffitto.
Andrea illuminò una parete e notò che la fila più bassa di nicchie era parzialmente coperta dal terreno del pavimento: emergeva solo la parte alta, quella ricurva mentre la base, dove di solito si vedeva l'apertura dell'urna, affondava nel terreno. – Guardate. – disse e illuminò quelle mezze interrate. – Voi che ne pensate?
Fabio rifletté per qualche secondo. – Sembra che questa stanza sia stata riempita di terra.
– Infatti – concordò Ettore. – Questo vuol dire che il pavimento è più in basso rispetto al suolo dove noi poggiamo i piedi.
– Esatto – fece Andrea continuando a illuminare le pareti.
– Ma chi ha portato tutta questa terra qua sotto? – domandò Orzowei.
– La mia teoria – ipotizzò Fabio – è che questo terreno sia stato portato dalle piogge. Vi ricordo che ancora oggi, quando piove molto, dalla collina qui vicino arriva nel rione un fiume di fango.
– È vero! – esclamò Andrea - La lava.
Così gli abitanti del rione chiamavano l'acqua e il fango che inesorabile scendeva dalla collina durante i violenti temporali; pian piano, la strada si trasformava in un impetuoso fiume marrone che poteva essere attraversato solo indossando stivali di gomma. Una volta terminato il temporale, il fiume si ritirava e lasciava la strada ricoperta da parecchi centimetri di fango.
– Ecco perché il soffitto è così basso! – esclamò Ettore.
A un tratto Andrea richiamò l'attenzione degli amici. – Guardate. Lì c'è un passaggio! – Stava illuminando un'apertura alta quasi un metro che conduceva in un altro ambiente.
Orzowei sgranò gli occhi. – Ma è un passaggio per gnomi questo! Guardate quanto è basso.
Fabio sbuffò. – Gnomi... ma per favore. È così basso soltanto perché il livello del pavimento si è alzato per colpa del fango.
– Infatti – confermò Andrea. – e direi di attraversarlo e di andare a esplorare l'altra stanza.
Orzowei si avvicinò e cercò di scoprire cosa ci fosse dall'altra parte. – Non si vede niente. – disse.
Andrea si piegò sulle gambe, per non sbattere con la testa, e si infilò nell'altra stanza. – Dai, venite. Vi illumino il percorso.
In breve tutti e quattro entrarono nel nuovo ambiente, assediati dal buio e guidati dall'unica luce della torcia elettrica. Lì dentro, il soffitto sembrava ancora più basso ed Ettore, che era il più alto, riusciva quasi a toccarlo con la punta delle dita. Anche questa stanza, come le altre, aveva le pareti scandite da numerose nicchie. I ragazzi le passarono tutte in rassegna e successivamente esaminarono anche il pavimento, muovendosi con cautela per evitare di sbattere contro qualche ostacolo celato dal buio.
– Aspetta! Aspetta! – esclamò a un tratto Orzowei. – Ho visto qualcosa in quell'angolo! Illumina lì!
Subito Andrea indirizzò il fascio di luce nel punto in cui le due pareti si univano e illuminò uno strano oggetto che incuriosì i ragazzi.
– Che roba è? – domandò Ettore.
Orzowei scosse la testa. – Non ne ho idea, ma ora vado a vedere da vicino.
Seguendo il fascio di luce si avvicinò alla parete e avanzò fino a raggiungere il misterioso oggetto. Gli altri lo osservarono con apprensione e senza riuscire a vedere granché perché, con il suo corpo, copriva la visuale e proiettava un'ombra dinanzi a lui.
All'improvviso, Orzowei fece un balzo all'indietro e lasciò partire un terribile urlò.
– L'orecchio di Giggino!

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La banda degli americani in pigiama
AdventureIn un sereno pomeriggio di inizio estate, Andrea e i suoi amici stanno giocando quando il pallone finisce casualmente nel cortile di un vecchio casolare abbandonato. La loro partita terminerà qui, ma inizierà un'avvincente avventura che li porterà a...