41. Strategia

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Il sole, alto nel cielo, dardeggiava la sua luce in ogni direzione e tutto pareva immobile e silenzioso, come se ogni cosa fosse stata intrappolata in uno spesso strato di cellophane.

Un improvviso riflesso dorato sfavillò riflettendo i raggi del sole: era la stella dello sceriffo che, fermo di fronte all'ingresso di un saloon, si preparava a fare irruzione. Lì dentro erano asserragliati dei pericolosi tagliagole ai quali stava dando la caccia da diversi giorni. Il sudore gli rigava la fronte e il nervosismo non accennava a diminuire nonostante avesse già affrontato situazioni pericolose come questa. Accarezzò il calcio della Colt che portava al cinturone e si sentì subito rassicurato, poi sistemò il cappello spostandolo per la tesa e mosse uno stelo di paglia, che stringeva tra le labbra, da un lato all'altro della bocca. Un cespuglio secco, sospinto dal vento, attraversò rotolando la strada polverosa che lo separava dal saloon.

Orzowei sorrise a quel pensiero e sputò il succhialimone che teneva tra le labbra. A passi lenti e con le tasche gonfie di sassi, si avvicinò al cancello del casolare.

– Mezze cartucce! – urlò con le mani a megafono. – Fatevi vedere se ne avete il coraggio.

Attese per un po' e poi riprese a urlare. – Codardi! Dove siete finiti? Siete scappati dalla mamma?

Il casolare sembrava più deserto di una scuola a Ferragosto. A quel punto estrasse un sasso da una tasca e lo scagliò al di là del muretto di cinta: un tonfo sordo riecheggiò nell'aria immobile prima di lasciare il posto al silenzio.

– So che siete qui dentro. – mormorò. Raccolse un sasso più grosso e si accinse a tirarlo, ma proprio in quel momento sul muretto, contro la luce del sole, si stagliarono tre sagome scure.

Orzowei abbassò il braccio e lasciò cadere il sasso; indietreggiò di qualche passo e, riparandosi con una mano, mise a fuoco quelle figure.

– Eccovi qua: Massimo, Silvio e coso... il fratello di Margherita.

– Mi chiamo Leonardo, maledetto idiota! – esclamò agitando un pugno.

Massimo si alzò in piedi sul muro e lo guardò con aria disgustata. – Che ci sei venuto a fare qui, paperino? Vuoi un po' di legnate?

– Vuole le legnate, vuole le legnate! – cantò il piccolo Silvio.

Orzowei, con le gambe divaricate e i pugni poggiati sui fianchi, seguì lo sgangherato balletto di Silvio, poi estrasse da una tasca le palline clic clac e iniziò a giocarci con il solito rumore fastidioso.

– Questa è la vostra ultima opportunità. Aprite il cancello e andate via. Vi assicuro che nessuno si farà male.

I tre si guardarono increduli e poi esplosero in una risata sguaiata. – Chi si farebbe male? – domandò Massimo.

Il fratello di Margherita si tenne il viso tra le mani. – Oddio... forse noi?

– Ci faremo male! Ci faremo male! – cantò Silvio, che poi tirò per la maglietta suo fratello. – Massimo, ci faremo male?

– Ma sta zitto! – esclamò e gli tirò un paccherone dietro la testa. Subito dopo si rivolse a Orzowei puntandogli addosso un dito.

– L'unico che oggi si farà male sarai tu, se non la smetterai di giocare con quelle palline infernali!

Orzowei dapprima sembrò accettare il suo consiglio e smise di farlo, poi prese la mira e gliele scagliò contro.

– Cavoli! – fece Leonardo seguendo con lo sguardo la traiettoria. – Per poco non ti ciaccava con quelle cose!

Massimo ammutolì e impallidì come un lenzuolo. – Fa-facciamogliela pagare a quel maledetto!

I tre compari raccolsero dei sassi, ammucchiati sul muretto, e li tirarono a Orzowei che, avendo previsto quella reazione, riuscì a evitarli senza grossi problemi.

– Forza, colpitelo! – ordinò Massimo che aveva ripreso un colorito più roseo.

Nel frattempo, sul lato opposto del casolare, Andrea ed Ettore stavano strisciando nell'erba diretti al muretto di tufo. Il sole cocente e la totale assenza di vento rendeva il calore insopportabile e i due amici, sudati e infastiditi dagli insetti, avanzavano con fatica. Quando finalmente lo raggiunsero si fermarono per riposare al riparo della sua ombra, seduti con le spalle appoggiate ad esso. Non udirono grida di allarme né sentirono rumori che gli facessero pensare di essere stati scoperti.

– La manovra di Orzowei è stata un successo! Tutto va secondo i piani.

Mentre riprendevano fiato, Ettore arricciò il naso e avvertì qualcosa nell'aria. – Andrè, tu lo senti questo odore?

Anche Andrea tirò su col naso. – Sì, ma più che un odore mi pare una puzza.

– Infatti, un tanfo... non vorrei sbagliarmi, ma credo di averlo già sentito da qualche parte.

– Sembra quello di un animale.

– Di un cane?

– Che ne so... Può darsi.

Ettore sbarrò gli occhi e si asciugò il sudore che gli bagnava la fronte.

– Che c'è? – domandò Andrea. – Sembra che tu abbia visto un fantasma.

Ettore deglutì. – C'è solo un cane che puzza così.

Andrea trasalì. – Puzzola!

Il fetore diventò più intenso e proprio in quel momento Andrea ed Ettore vennero raggiunti dagli altri amici.

– Fermi! – esclamò Ettore. – Dobbiamo allontanarci subito da qui! C'è il cane di Beppe nel cortile; abbiamo sentito il suo fetore. L'attacco è rimandato!

Dario annusò l'aria più volte e poi si massaggiò la fronte pensieroso. – Siete sicuri? Questo puzzo l'ho sentito anche poco fa e non credo sia quello di un cane.

– Ah no? E di chi sarebbe?

– È alquanto imbarazzante, – disse rosso in volto – ma temo sia il nostro. Siamo stati sotto il sole cocente per un bel po' e abbiamo sudato molto.

Fabio si appoggiò al muretto. – Per fortuna le ragazze sono andate via. Sarei morto dalla vergogna se avessero scoperto che puzziamo come delle bestie.

Rinfrancati dallo scampato pericolo, si sedettero tutti all'ombra mentre Dario estrasse dal suo zainetto verde uno strano tubo telescopico con due aperture alle estremità. Mentre armeggiava con quel misterioso strumento avvertì addosso gli sguardi curiosi dei suoi amici e si lasciò sfuggire un sorriso compiaciuto. Allungò quel tubo e lo sollevò verso l'alto fino a quando l'estremità superiore non superò il muro in altezza; infine guardò nell'apertura posta nella parte più bassa.

Umbertino scosse Fabio per una spalla. – Ma che sta facendo?

– Sta controllando se c'è qualcuno nel cortile.

– Con quel tubo?

– Non è un tubo: è un periscopio. Serve a osservare qualcosa rimanendo nascosti. A volte si vedono nei film di guerra: li usano i sommergibili quando sono in immersione.

– Ma noi non siamo né al mare né sott'acqua. – obiettò Umbertino. – Funzionerà lo stesso?

– Il mare non c'entra con il suo funzionamento.

– Come funziona?

Fabio sbuffò. – Dentro ci sono due specchi che riflettono le immagini da un'apertura all'altra.

Umbertino si grattò la testa. – Ma se ci sono solo specchi, non vedrà soltanto la sua immagine riflessa?

Fabio prese un respiro profondo e si sforzò di mantenere un tono calmo. – Adesso restiamo in silenzio e aspettiamo che termini la perlustrazione.

Nel frattempo Dario armeggiava ancora con il suo periscopio: lo ruotò verso destra, poi verso sinistra; infine, dopo un'ultima occhiata lo richiuse e si voltò con un'espressione soddisfatta.

– Very well. La via è libera; possiamo scavalcare.

La banda degli americani in pigiamaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora