7. JACE

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Accomodandomi a metà della prima fila nell'aula del professor Anderson, non posso credere a quello che sto sentendo.

Alex è in piedi e mi da le spalle mentre parla con lui, la sua figura snella che oscura parzialmente quella del professore. Non credo proprio che si sia accorta della mia presenza ma io, anche da qui, anche senza poterla vedere in viso, posso percepire la sua agitazione. Osservo il suo piede tamburellare sul pavimento, le sue mani stringersi a pugno, e scuoto la testa. Il suo corpo è incredibilmente semplice da decifrare, quasi quanto il suo volto. È la prima cosa che ho capito di lei quando l'ho conosciuta la prima volta. Alex non ha filtri. Se gli piaci si capisce, e se ti odia... beh, in quel caso adora renderlo particolarmente palese.

Dalla mia posizione riesco a sentire praticamente tutto quello che si stanno dicendo, ma il sorriso compiaciuto che sono sicuro di avere svanisce di colpo quando il mio telefono si illumina sotto il mio sguardo. Tenendo sempre l'orecchio teso sulla conversazione tra Alex e il professore, apro la casella dei messaggi e  impreco sottovoce.

Mio padre mi ha appena inoltrato l'invito ufficiale dell'evento di apertura dell'Hotel Dore', con tanto di promemoria di quanto lui e la mamma non vedano l'ora di conoscere la mia, cito testualmente, adorata ragazza.

Stritolo il telefono tra le mani e sollevo lo sguardo appena in tempo per vedere il professore congedare Alex con un gesto della mano, concludendo così la loro conversazione senza tante cerimonie. Lei si congela sul posto come una statua di ghiaccio e lascia passare qualche secondo prima di andarsene a passo spedito verso l'uscita.

La furia con cui pesta i piedi per terra mi farebbe scoppiare a ridere se non fossi preso dal mio problema imminente, che pesa sulla mia testa come una spada di Damocle pronta a decapitarmi.

Mentre la guardo scomparire oltre la porta, travolta da altri studenti del mio anno, mi viene in mente un'idea. Un'idea stupida e che probabilmente non andrà a finire bene, ma che al momento potrebbe rappresentare la mia unica soluzione.
Con uno sbuffo, scuoto la testa e metto via il telefono.
Oh sì, è decisamente un'idea di merda.





Seduto su uno degli sgabelli malandati del Red Ink, il bar più frequentato dagli studenti della Briar, osservo Hailey preparare un paio di drink con una precisione micidiale. Per quanto io la detesti, devo ammettere che sappia fare il suo lavoro come si deve.

Questa sera c'è un po' di gente, e del suo collega neanche l'ombra, quindi deve gestire tutto da sola. Io ho ordinato le birre per me e i ragazzi più di quindici minuti fa, ma la lista degli ordini è lunga, ed è ovvio che Hailey non abbia la minima voglia di farmi passare avanti. L'avevo detto a Taylor che sarebbe dovuto venire lui a parlare con la sua ragazza, ma quel bastardo ha insistito che venissi io. Che coglione. A quest'ora saremmo già al secondo giro. E invece sono qui seduto come un bambino che aspetta che la mamma metta la cena in tavola.

«Fa' con comodo eh» commento ad alta voce, in modo che Hailey mi senta anche sopra la musica.

In risposta ottengo un'occhiataccia carica di veleno «Non avevo alcuna intenzione di velocizzarmi per te, tranquillo» mentre parla non si ferma un secondo, rivolgendo l'imitazione di un sorriso cortese ai ragazzi accanto a me prima di porgergli i due drink scuri che l'ho appena vista preparare.

Tiro un sospiro di sollievo nell'accorgermi che ora è il mio turno, ma la sensazione svanisce subito quando vedo una coppia di ragazze avvicinarsi al bancone. Come se non esistessi, iniziano a parlare con la scorbutica barista.

«Ehi, toccava a me!» le faccio notare, alzando una mano con un gesto secco.

Hailey si prende tutto il tempo del mondo per parlare con le due ragazze prima di girarsi verso di me con un ghigno compiaciuto «Ah sì?» dice con un'alzata di spalle «Che strano, non ricordo proprio di aver preso il tuo ordine»

PROVA AD ODIARMIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora