Finisco di bere l'ultimo sorso di cappuccino e mi alzo dalla sedia, accertandomi di aver preso tutte le mie cose.
Dopo circa un'ora di silenzio seduta al tavolino più imboscato della caffetteria, penso proprio che sia arrivato il momento di andare. Le mie gambe sono informicolate, così come i miei piedi, eppure il mio cuore non vuole saperne. Non vuole saperne di diventare insensibile come il resto del mio corpo, durante questi giorni. Ormai è quasi una sorta di routine: Ogni anno, in questa particolare settimana di dicembre, cado in uno stato generale di vuoto profondo. In effetti, credo che vuota sia una parola estremamente povera per descrivere come mi sento. Allo stesso tempo però, è anche l'unica che calza a pennello. Vuota. Perché è solo questa la sensazione che provi quando una persona importante se ne va per sempre dalla tua vita, lasciando un buco che mai nessun altro potrà riempire di nuovo.
Ancora in piedi accanto al tavolino, sollevo la mano libera e mi massaggio il petto. Un gesto inutile, ma in qualche modo confortante. Un po' come se in questo modo riuscissi ad accarezzarmi il cuore, nel vano tentativo di scaldare il posto che mia madre occupa al suo interno. Che occuperà per sempre.
Purtroppo se n'è andata quando io avevo appena due anni, e non ho mai avuto l'occasione di conoscerla... nonostante questo però, qualcosa dentro di me è certa che saremmo state grandi amiche.Mi aggrappo a quel pensiero felice con tutte le mie forze mentre avvio verso l'uscita della caffetteria, finalmente pronta per tornare al dormitorio.
«Alex»
Il mio nome risuona nell'aria e mi volto con uno scatto.
Due occhi verdi incrociano i miei, riservandomi il solito sguardo autoritario e severo.
So di non aver fatto niente di male, quello è solo il suo modo di essere, eppure non posso evitare di raddrizzare la schiena e scattare sull'attenti.«Papà» la mia voce esce più bassa e rauca di quello che volessi, segno del fatto che sia rimasta in silenzio per troppo tempo «Che ci fai qui?»
Mio padre mi guarda e solleva un sopracciglio, come per sottolineare la stupidità della mia domanda. E in effetti ha ragione. Insomma, siamo in una caffetteria, il motivo per cui le persone vengono qui è piuttosto scontato.
«Avevo solo bisogno di un caffè» dice semplicemente, passandosi una mano sul viso stanco «Ho delle cose importanti da sbrigare e mi serve tutta l'energia possibile» aggiunge poi.
Non rispondo, limitandomi ad annuire mentre lo osservo meglio. Mio padre non è quel tipo di persona che ti rende partecipe del suo dolore, ne dei suoi sentimenti, ma ci sono diverse cose che tradiscono la sua maschera di indifferenza. La barba non curata, lo sguardo vacuo e il colorito pallido sono solo alcuni dei segnali che mi suggeriscono quanto in realtà stia male. Come se tenersi tutto dentro gli provocasse un vero e proprio stato di malessere fisico. Imbottigliare le emozioni per mantenere il controllo è sicuramente una delle pochissime cose che abbiamo in comune.
So perfettamente che non ha nulla da sbrigare. Questo periodo è estremamente difficile anche per lui, e probabilmente cerca solo un modo per distrarsi e rimanere sveglio. Da che ne ho memoria, mia padre ha sempre sofferto di incubi notturni. Incubi che non hanno fatto altro che peggiorare da quel fatidico evento di tanti anni fa.
«Capito» per quanto sia faticoso, mi obbligo a sorridergli prima di continuare «Come...» inizio, riflettendo su quanto sia difficile porre una domanda di cui sai già la risposta «... Come stai?»
«Bene» risponde subito, senza la minima esitazione. Con troppa sicurezza, per essere la verità. E forse è proprio quello a spezzarmi il cuore. «Tu come stai?» rilancia, guardandomi per una frazione di secondo prima di cambiare argomento «La scuola come va?»
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PROVA AD ODIARMI
RomanceJace Evans è il playboy per antonomasia. Biondo, occhi azzurri come il ghiaccio e stella della squadra di Hockey della scuola. Uno schiocco delle dita e qualunque ragazza cade ai suoi piedi, estasiata di provare l'esperienza migliore della sua vita...