17. JACE

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«Ci sono, ci sono!» grido a nessuno in particolare, entrando nel palaghiaccio di corsa.

Dalla pista, la voce del coach risuona forte e fin troppo chiara quando mi lancia uno sguardo di disappunto «Non ci speravo più ormai» mentre appoggio il borsone sulla panca più vicina, lo sento sbuffare vistosamente «Ora che ci hai onorato della tua presenza, vedi di darti una mossa»

Nonostante il suo atteggiamento mi faccia girare il cazzo, ha completamente ragione. Sono in ritardo. Per la prima volta in vita mia credo.

Senza fiatare procedo ad indossare imbottiture e pattini alla velocità della luce.

La giornata è ben lontana dalla sua conclusione, e io mi sono già incazzato così tante volte da perdere il conto.
Stamattina mi sono svegliato di soprassalto per colpa del telefono, che si è messo a squillare spaccandomi i timpani alle sette del mattino. Pensavo fosse un modo già sufficientemente irritante di iniziare la giornata, ma poi ho risposto alla chiamata e tutto è cominciato ad andare sempre peggio. Sarei anche stato felice di sentire i miei genitori, nonostante l'ora illegale, se non fosse per la richiesta che hanno avanzato subito dopo avermi salutato. Per farla breve vogliono che io e Alex presenziamo al loro prossimo evento, tra una settimana, per di più di un Hotel lontano diverse ore di macchina. Questo significa che molto probabilmente saremo costretti a fermarci lì per la notte, e che dovrò sostenere una conversazione che onestamente speravo di rimandare ancora per un po'. Poi, come se non bastasse, nessuno dei miei fantastici coinquilini si è preso la briga di controllare le scorte della colazione, che come al solito erano a meno di zero. Ovviamente, in preda alla rabbia e alla frustrazione non ho notato il paio di scarpe abbandonato nel bel mezzo del salotto e, beh... come era prevedibile sono inciampato. Il mignolo del mio piede sta ancora piangendo per l'impatto contro quel maledetto tavolino di legno.

Tutto questo, in meno di un'ora.

Vista la piega che aveva preso la mattinata ho deciso di tornare a letto ancora un po', sperando che le cose sarebbero migliorate dopo aver dormito un altro paio d'ore. Neanche a dirlo, la sveglia che avevo impostato non è suonata.

Quindi eccomi qua, fresco come una rosa morta, incazzato nero e che mi venga un colpo... persino in ritardo.

Scuoto la testa ed entro in pista, saltando il riscaldamento e raggiungendo i miei compagni sparsi sul ghiaccio. Stanno provando gli schemi per la prossima partita.

«Hai un aspetto di merda»

Taylor non aspetta di essermi vicino per gridare le sue considerazioni ai quattro venti, provocando delle risate che riecheggiano per tutta la struttura.

«Grazie» sibilo, lanciandogli un'occhiataccia attraverso le grate del casco «Tu sei in forma come Zach vedo» mentre lo dico mi giro a guardare la matricola in discreto sovrappeso accasciata a bordo pista, in preda al fiatone e con la faccia viola.

Taylor segue il mio sguardo e il suo viso si apre in una smorfia indignata, prima di tornare a guardarmi «Ti perdono solo perché è chiaro che tu abbia perso il dono della vista» fingendo di consultare un orologio invisibile, sgrana gli occhi scuri «Ti è già arrivato il ciclo?» domanda preoccupato «Secondo i miei calcoli non doveva succedere prima di dieci giorni»

Socchiudo appena le labbra, indeciso se prenderlo a pugni ora o più tardi.
Alla fine, decido di lasciare a lui la scelta.

«Dimmi, vuoi prenderle adesso o più tardi?» do voce ai miei pensieri con un mezzo ringhio.

Il ghiaccio vicino a me stride all'improvviso e Luke compare al mio fianco.

«Le prenderete entrambi se non muovete subito il culo» per una volta, il suo tono è privo di arroganza. O quasi.

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