27. JACE

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Il cronometro segna gli ultimi dieci secondi. Il ghiaccio scivola veloce sotto i miei pattini, il cuore che batte a un ritmo frenetico mentre i miei occhi cercano un'apertura. Luke ha il disco, lo vedo mentre scivola rapido lungo la fascia, la testa alta, i movimenti precisi. L'adrenalina mi spinge avanti, ogni muscolo teso, pronto allo scatto finale. Devo esserci, devo essere pronto.

«Jace!» urla Luke, e capisco. Mi lancio verso il centro, tagliando la linea dei difensori avversari. Il disco arriva veloce, esattamente dove lo volevo, un lampo nero che squarcia il ghiaccio. Lo controllo al volo, le mani ferme sul bastone nonostante la tensione che mi divora le dita.

Il portiere avversario è li, gigante nella sua posizione, ma intravedo un angolo scoperto. È solo un attimo, un respiro, e capisco che è la mia unica possibilità. Carico il tiro con tutta la forza che ho, i muscoli delle braccia e delle spalle che si tendono in un'unica esplosione di potenza. Il colpo parte, il bastone vibra, e vedo il disco schizzare via, tagliando l'aria.
Il tempo sembra rallentare. Il ghiaccio è un ronzio lontano sotto i miei piedi, il rumore delle folla un eco che si dissolve. C'è solo il suono sordo del disco che colpisce il palo interno della porta. Un suono che rimbalza nel silenzio surreale dell'arena.

L'eco del tiro si dissolve e il disco è in rete. Un secondo dopo, il suono della sirena esplode nelle mie orecchie, mescolandosi al ruggito della folla. Taylor e Dean mi travolgono, assieme al resto della squadra, mi stringono forte, urlando di gioia. Il mio respiro si mescola al loro in quest'attimo perfetto. Luke arriva subito dopo, un sorriso enorme sul viso. Mi colpisce il casco con il suo bastone in un gesto di puro entusiasmo. Il ghiaccio, il pubblico, le luci, tutto si sfoca per un momento mentre realizzo che ce l'abbiamo fatta.

La vittoria è nostra.

L'attimo è così assurdo e veloce che non mi rendo nemmeno conto del momento in cui finisce tutto e arriva l'ora di uscire dalla pista, sotto lo sguardo afflitto di quelli di Yale .

Metto piede fuori dal ghiaccio, il respiro ancora pesante e le gambe che rilasciano la tensione accumulata, facendomi percepire tutta la fatica. I ragazzi sono già diretti verso gli spogliatoi, ridono e scherzano, ma io mi fermo un attimo nel corridoio di transizione, assaporando l'adrenalina che abbandona lentamente il mio corpo. Mi volto per un attimo verso destra, riprendendo fiato. Ed è in quel momento che lo vedo. Nate è a pochi metri da me, appoggiato alla balaustra che divide la zona degli atleti da quella degli spettatori. Il mio stomaco si annoda.

Che diavolo ci fa lui qui?

Non c'è nulla di amichevole nel suo sguardo finto e costruito, nulla che mi faccia venire voglia di rivolgergli la parola.

«Jace» dice, avanzando di qualche metro. Il rumore della folla è ancora così forte che se non fosse così vicino non sarei in grado di sentirlo. La sua voce è fredda, in netto contrasto con il sorriso falso che gli incurva le labbra.

Serro la mascella. «Nate»

Non mi spreco nemmeno nel tentativo di mantenere il tono neutrale. 'Fanculo, non lo sopporto. Se posso, cerco di ricordarglielo ogni volta che ne ho l'occasione.

«Bella giocata», continua, ignorando del tutto la mia ostilità. Il modo in cui lo dice però, mi mette subito sulla difensiva. So riconoscere il sarcasmo quando lo sento, e lui è un maestro quasi quanto me nel farlo sembrare un complimento.

«Che vuoi?» taglio corto. Non ho voglia di stare al suo gioco, qualunque esso sia. Non oggi, non stasera. Mai, se è per questo.

Lui mi osserva per un attimo, gli occhi azzurri che mi scrutano come se stesse cercando qualcosa, forse una debolezza, forse una scusa per dare il via all'ennesima discussione senza senso. «Passavo di qui. Volevo solo vedere come te la passi»

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