Tossina

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I sotterranei del maniero Malfoy brulicavano di topi nutriti da sangue e carne, l'aria che si respirava non appena vi si accedeva era acre e malsana e i pianti e le urla di disperazione facevano godere le orecchie di Antonin. L'uomo camminava sul pavimento sporco con un andatura lenta e instabile, quasi stesse danzando, l'equilibrio si spostava da una gamba all'altra in maniera innaturale. Un ghigno sadico gli deformava il viso rendendolo sinistro. Si guardava intorno inebriato dall'atmosfera di dolore e morte, e dal privilegio di scegliere. In quelle prigioni erano detenuti i traditori, i sanguesporco, i genitori di quei sanguesporco, anziani e bambini, tutti meritevoli di una morte dolorosa. Ma chi scegliere? Gli occhi spaventati di quelle persone si nascondevano al suo passaggio, chiunque di loro poteva riconoscere Antonin Dolohov e sapere che se si trovava lì allora c'era di che avere paura. Una cella si aprì in seguito al rumore metallico delle chiavi e al cigolio sinistro dei cardini, al suo interno vi erano cinque persone, ammassate in quei pochi metriquadri, nessun materasso, nessun appoggio, dormivano in terra riscaldandosi con i propri corpi. Un sorriso di gioia si aprì sul viso del mangiamorte quando riconobbe un suo antico compagno che aveva sposato una natababbana da cui aveva avuto tre bei ragazzi, anche loro detenuti lì. "Mio carissimo Marcus, che piacere vederti con tutta la tua famiglia", l'uomo interpellato non rispose per orgoglio o per troppa paura, Antonin rise sguaiatamente. "Desideravo presentarti la mia protetta, come tu mi hai presentato i tuoi bei figli, tra vecchi amici si fa così". A quel richiamo un'altra figura, dalla statura più piccola e con la maschera argentea in volto varcò la soglia della cella. "Noi non siamo amici" ci tenne a sottolineare Marcus, "e se quella è la tua protetta allora deve essere una figlia di puttana come te" aggiunse con rabbia. "Mi sembra che qui confondiamo chi si è mischiato con la feccia" lo canzonò Antonin indicando la donna nell'angolo abbracciata ai ragazzi di cui il più grande aveva forse 16 anni. "Vedi desidererei che si divertissero insieme, la mia protetta e i tuoi. Potrebbero provare qualche nuova invenzione, che ne pensi?".

L'espressione del padre mutò drasticamente, si sollevò da terra e si posizionò tra i mangiamorte e la sua famiglia. "Lascia impace i miei figli", "Non credo che lo farò" Antonin sollevò la bacchetta e il più giovane dei tre che ottimisticamenet aveva 10 anni iniziò ad avanzare verso di loro sospinto da un imperio. Il padre si aggrappò al piccolo corpo del ragazzo cercando di trattenerlo e scoppiando a piangere. "No! Lascialo stare! Prendi me!", quelle suppliche davano piacere a Dolohov più di quanto sia immaginabile, lo eccitavano e compiacevano.

Più dietro di qualche passo Artemisia asitava ed estraeva dalla tasca una minuscola boccetta contenente un liquido semitrasparente ma opaco, sembrava quasi areiforme per come si agitava. Avanzò risoluta, cercando di ignorare i pianti di padre e figlio, e quegli occhi di bambino che la osservavano supplici. Stava quasi per stapparla quella boccetta di veleno. "Antonin, il ragazzo è troppo piccolo, per essere certa devo testarlo su qualcuno della stessa statura", la stessa statura di chi lo sapeva solo lei. "Ma così mi rovini la scena, il pathos, come può avvenire la punizione di quest'uomo se non gli ammazzo almeno il figlio?" era un ragazzino a cui si toglieva il giocatolo dalle mani. "Sono irremovibile" rispose Artemisia a quelle lamentele e si voltò verso l'uomo adulto, mentre il bambino, ora libero di muoversi, scappava tra le braccia della madre, e i singhiozzi nella stanza si facevano più forti. "Accetta la tua sorte con onore, quello che ti è mancato quando hai anche solo pensato di toccare una sanguesporco" gli disse con parole crudeli la mangiamorte, mentre versava forzatamente il veleno nella gola di quel padre. Pochi attimi dopo egli iniziò a contorcersi, bava spumosa gli uscì dalla bocca contratta e poì rimase steso al suolo, morto davanti agli occhi impietriti dei figli e della moglie.

*

Draco tremava mente si dirigeva nell'ufficio di Lumacorno per lasciare sulla scrivania la bottiglia di vino elfico apportunamente incantata per destare nell'insegnante l'idea di regalarla a Silente a Natale. Appena poggiata si allontanò in fretta dall'ufficio e si incamminò per i corridoi deciso a raggiungere la stanza delle necessità. Era però troppo perso nei suoi pensieri per rendersi conto di quella malefica gatta che gli sfrecciava davanti e al cui seguito vi era Argus Gazza. "Lasciamo andare stupido Magonò!", si ritrovò trascinato in una sala allestita a festa, Lumacorno aveva organizzato in grande stile per Natale, e sottoposto agli sguardi di tutti gli invitati. Si vide per sua fortuna accusato di volersi infiltrare e assecondò quella storia ond'evitare scomode spiegazioni. Cambiò idea nel momento in cui Piton si avvicinò a lui costringendolo ad uscire da quella sala e affrontandolo direttamente dopo settimane che lo aveva evitato. Lo scontro tra i due fu violento e non si accorsero minimamente di Harry Potter che li osservava nascosto in un angolo buio. La cosa che faceva maggiormente arrabbiare Piton era l'essere all'oscuro più che mai di informazioni fondamentali, di tasselli che avrebbero potuto fare la differenza in una situazione in bilico come la sua. "Ho pronunciato un voto infragibile" sibilò a un soffio dal viso del figlioccio, tenendolo stretto per il colletto, assistette in prima fila allo sguardo spaesato e stupito di Draco al quale si inumidirono gli occhi per la paura e la furia. Quel contatto così palese rese a Piton tremendamente semplice farsi spazio nei suoi ricordi più immediati ma non si sarebbe mai aspettato di rivedere lei come suo primo pensiero.

Un'Artemisia visibilmente smagrita e stanca camminava tra la neve della foresta che circondava Hogwarts e Hogsmead, era stretta in un mantello nero di pregiata fattura che non le aveva mai visto indosso. Le caviglie sottili e diafane come le mani affusolate e il viso si confondevano con il candore del luogo mentre il resto della sua figura contrastava, quasi a far male alla vista, per l'oscurità. Gli occhi verdi saettavano in ogni direzione alla ricerca spasmodica di qualunque pericolo per poi fermarsi su Draco che l'attendeva ormai da un pezzo. Con passo silenziosissimo gli si avvicinò affondando leggermente e senza rumore nella neve. Gli porse un pacchetto dalla forma allungata, entrambi lo guardarono spaventati. "Funzionerà?" chiese il ragazzo in un sussurro, lei si limitò solo ad annuire. "Sei sicura? L'hai provata?", annuì nuovamente. "Artemisia stai bene? Mi sembri molto provata", "Sto forse meglio di te, dopotutto non sono io quella che rischia di più", effettivamente neanche Draco stava bene, aveva perennemente le fattezze di un malato terminale, ed effettivamente su di lui aleggiava lo stesso avvoltoio della morte. "Mi dispiace averti trascinata in questo inferno", "L'importante è che ce ne tiri fuori, tutti noi, stai giocando con molte vite". Sta volta fu il ragazzo ad annuire prima che lei si voltasse e sparisse nuovamente tra gli alberi.

Quando abbandonò la mente del ragazzo, ignaro di tutto, fu un riflesso involontario lasciare finalmente la presa sul suo colletto, con uno scatto repentino, si sentiva scottato. La stessa sensazione che provava ogni volta che leggeva una lettera indirizzata a Draco, e poteva apprezzarne la scrittura chiara e leggermente obliqua. Lo vide solo scappargli dalle mani e allontanarsi in fretta mentre ripensava a quanto per colpa sua lei stesse soffrendo.

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Oramai dopo quei mesi passati tra missioni e incarichi Artemisia ce l'aveva fatta, poteva ritenersi parte del gruppo più ristretto e fidato e ne ebbe conferma quando fu convocata dal signore Oscuro una gelida notte di marzo.

Il ghiaccio oscurava ulteriormente le vetrate del grande salone e le candele stentavano ad illuminare l'intera stanza. Nagini strisciava subdola tra le gambe delle sedie mentre uno alla volta, ordinatamente i mangiamorte varcavano l'ingresso inginocchiandosi di fronte alla seduta di Voldemort. "Prego, accomodatevi amici miei". Artemisia prese posto di fianco a Dolohov come si ci aspettava da lei e si guardò intorno, erano in pochissimi: Bellatrix, Piton e Yaxlei, poi qualche figura a lei ignota. Si ritrovò a scrutare il suo ex professore e amante forse per più tempo del dovuto ma nessuno se ne accorse, lo distolse solo quando l'uomo in questione si voltò verso di lei, non seppe leggere il suo sguardo che appariva annoiato, ma si chiese cosa stesse pensando in quel momento, dopo mesi che non si rivolgevano la parola.

"Grazie al lavoro di mediazione di alcuni nostri compagni i dissennatori si sono uniti a noi. Non dovreste avere problemi quindi durante la missione di recupero di questa notte. Desidero che partiate immediatamente per Azkaban e che riportiate a casa i nostri amici catturati al Ministero", l'espressione del mago si fece contrariata mentre ricordava il fallimento di mesi prima. "Bellatrix farà da guida, con lei andranno Severus, Antonin e Artemisia. Non fatevi riconoscere e tornate in fretta, attendo con ansia il vostro arrivo"

Non se lo fecero ripetere un'altra volta. Si alzarono contemporaneamente dalle sedie e con passo deciso uscirono dalla sala, i passi scandivano il loro passaggio. Indossarono le loro maschere argentee e recuperarono le scope, solo Piton tra loro sapeva volare senza supporti e mentre si muoveva veloce nella sua nube nera si distanziò dalla Lestrange per accostarsi agli altri due. Non poteva vedere l'espressione contratta sul viso di Artemisia ma poteva percepirne, dallo sguardo verde attraverso la maschera, la stanchezza. Si concesse di concentrarsi sulla sua impronta magica, sperando di percepirla appena, ma stava occludendo totalmente i suoi pensieri e non carpì neanche una scintilla della sua potenza, lei invece, grazie a quella leggera apertura, sentì la magia del mago soffocarla e travolgerla, le parve di poterla quasi toccare.

Finalmente la prigione dei maghi fece la sua comparsa in mezzo al mare, le onde ne lambivano le fondamenta e le pareti erano perennemente umide. Alla sua vista la risata di Bellatrix squarciò l'aria, seguita da un fulmine e un tuono che preannunciavano temporale

Finché vivrò avrò il controllo sul mio essere.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora