22 - nonostante tutto

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"La sola cosa che ci divide è la realtà"

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"La sola cosa che ci divide è la realtà"

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H a r p e r 

Prima che mia madre mi lasciasse in orfanotrofio, da bambina, alla domanda «Cosa vorresti fare da grande?» non ho mai saputo rispondere. E non solo perché, prima dei miei sette anni, non fossi una bambina con dei sogni, ma perché il mio concetto di diventare grande è sempre stato particolare. Quando mamma mi diceva che avrei dovuto avere un sogno nel cassetto, io le rispondevo che il mio sogno sarebbe arrivato al momento giusto.

Lei non capiva mai cosa volessi dirle.
Ed io, all'epoca, ero troppo piccola per saper spiegare a parole quello in cui credevo.

Io non ero come quelle bambine che sognavano di diventare dottoresse, pop star internazionali, attrici, o come quelle che volevano seguire le orme dei genitori ed ottenere il loro stesso lavoro. Io non davo mai una risposta su quel che volevo diventare, perché a me non piaceva l'idea di premeditare il mio futuro. Volevo scoprirlo, mi piaceva l'idea che un giorno avrei avuto un'opportunità che avrebbe definito la mia vita. Guardavo mia madre negli occhi, dicendole che volevo scoprire da sola cosa il futuro mi avrebbe riservato, senza illudermi con dei sogni da bambina.

Ero strana, me lo dicevano tutte le persone a cui davo questa risposta. Come se ciò non fosse conforme ad una bambina che, a quell'età, di norma avrebbe avuto mille desideri da voler realizzare. E ad oggi, se ci rifletto, io il mio sogno ce l'avevo: scoprire me stessa, pian piano, senza fretta, da sola. Ma non tutti lo capivano, e a me non importava essere capita da tutti. Eppure, però, forse mia madre mi capiva. Perché tutte le volte in cui dicevo qualcosa che ad impatto la sorprendeva, lei esordiva dicendomi che io avessi la luce dentro di me.

Questo è un altro motivo per cui, oggi, odio mia madre. Perché mi ha abbandonata da un giorno all'altro, ed io non ho mai avuto modo capire perché per lei io avessi la luce dentro. Mi ha lasciata con tante domande che non hanno mai avuto una risposta. E per un po', io ho smesso anche di essere la bambina che voleva scoprire sé stessa. È questo l'effetto che fa il dolore, è questo l'effetto che il dolore ha avuto su di me: mi sono persa a soli sette anni, senza più riuscire a ritrovarmi.

Il giorno in cui ho incontrato Jordan Axelrod, però, credevo che fosse arrivata quell'opportunità che da bambina speravo. Mi ricordo alla perfezione quel giorno, il modo confortevole in cui lui mi diceva di avere qualcosa che potesse fare al caso mio, l'estrema confidenza con cui mi disse di conoscermi a tal punto che sapeva quanto quella missione che mi offrì quell'anno potesse cambiarmi la vita. A sedici anni, tra la rabbia che provavo vivendo in quel posto in cui mi sentivo scomoda e la voglia di andar via, ho pensato che l'offerta di Jordan fosse davvero la mia occasione.

L'ho pensato mentre mi fingevo una studentessa, vivendo sotto lo stesso tetto di un uomo che si fingeva mio zio. L'ho pensato quando, a missione conclusa, Jordan mi disse che avrei potuto farlo altre volte. L'ho pensato quando ho scelto di laurearmi in criminologia. L'ho pensato quando sono entrata nell'esercito e, successivamente, all'accademia dell'FBI. L'ho pensato quando sono diventata la prima, ed unica, agente sotto copertura a venticinque anni.

Weakness. Fino alla fine.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora