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Che cazzo ho fatto?, pensò Tabitha mentre si infilava i pantaloni del pigiama che aveva trovato nella borsa che gli aveva dato Sebastian.

Cuoricini rosa su uno sfondo grigio, nettamente a contrasto con il tipo di biancheria che aveva scelto di comprarle: reggiseno a balconcino in pizzo nero che si slacciava sul davanti e un tanga abbinato con un ciondolo a forma di chiave sul retro.

E aveva scelto il meno eccessivo. Il soldato aveva gusti audaci in fatto di intimo; non si poteva dire lo stesso del pigiama.

Meglio così.

Si infilò un paio di calzini rosa e raccolse i capelli ancora umidi in una coda di cavallo.

Non era sicura di voler scendere al piano di sotto, ma era sicura di non volere che Sebastian l'andasse a prendere e la trascinasse giù.

L'aveva schiaffeggiata con forza meno di un'ora prima e, per quanto fosse stato traditore il suo corpo a reagire, la sua mente era abbastanza certa di non voler ripetere quell'esperienza tanto presto.

Si passò una mano tremante sulla fronte.
Il tempo trascorso lontano dall'uomo non aveva fatto altro che amplificare la tensione che provava.

"Sai che la pagherai per questo" le aveva detto poco prima. Tabitha lo sapeva.

Scese le scale come se stesse per andare al patibolo.

Il soldato era seduto su uno sgabello dell'isola della cucina, gli avambracci appoggiati sul marmo mentre contemplava un bicchiere quasi vuoto di whisky.
Si era cambiato anche lui, ora indossava dei jeans neri e una t-shirt bianca ed era a piedi scalzi. Tabitha rimase sorpresa dalla scelta di quella maglietta, ma non abbastanza da farle scacciare la preoccupazione di ciò che sarebbe potuto accadere.

Sebastian si voltò verso di lei e nascose un sorriso di approvazione svuotando il bicchiere.

-Cosa vuoi, Sebastian?- la ragazza si strinse nelle spalle.

-Siediti.- ordinò lui, spostando l'altro sgabello accanto a lui.

-Sto bene qui.-

-Hai paura di me?-

Il cuore le prese a battere più forte. Il soldato l'aveva rapita, l'aveva spiata, l'aveva umiliata e picchiata.

Come se non ti fosse piaciuto, piccola sgualdrina, la rimproverò la sua mente.

Era tutto vero, ma quell'uomo le stava anche insegnando a difendersi; voleva, o meglio doveva, proteggerla.
Sapeva, in un angolo recondito della sua mente, che stava solo accampando scuse per giustificare quei brividi che le percorrevano le braccia e le gambe, quella stretta allo stomaco e quel formicolio nel basso ventre. Non era paura quella che provava, era tensione sessuale. Percepiva quell'aspettativa, quell'ansia piacevole e del tutto malsana.

-No.- ammise infine.

-Dovresti.- batté il palmo sullo sgabello e inarcò le sopracciglia, come se fosse assurdamente stupido sfidarlo.

Gli occhi dell'uomo erano tornati del solito castano chiaro.
Tabitha pensò che potesse essere un buon segno.

Almeno non ha lo sguardo assassino, incrociò le braccia sul petto e si avvicinò.

-Cosa vuoi, Sebastian?- gli domandò di nuovo, sedendosi accanto a lui, dando le spalle all'isola e guardando dritto davanti a sé.

Fu un errore. Il soldato si alzò e si mise davanti a lei, imprigionandola con le mani appoggiate al bancone.
Tabitha chinò il viso.

-Guardami.- ordinò alla ragazza.

Sollevò lo sguardo su di lui e attese che continuasse a parlare.

-Sei stata veloce prima,- le aveva appena fatto un complimento? -ma non mi piace che giochi con me.-

Shameless - senza vergognaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora