17.

23 1 0
                                    





C'erano tanti volti quel giorno, alcuni dei quali del tutto sconosciuti.
Guardavo quei volti scuri e spenti sui quali come profondi solchi si ramificavano lacrime senza speranza.
Intorno a noi, più distanziati dall'auto argentea, ombrelli neri falciavano l'aria fredda, inermi di fronte all'acquazzone che continuava a lanciarsi al suolo.
C'erano le urla di chi non voleva e non poteva lasciarlo andare, di chi supplicava Dio affinché il suo cielo ascoltasse quella preghiera.
Sentivo i singhiozzi vivi e profondi del fratello più piccolo di Caleb accanto a me mentre senza sosta continuava a bussare sulla bara chiamando il fratello <<Ti prego non te ne andare>> continuava a pregarlo in tutti i modi di uscire.
Sentivo il dolore straziante delle grida addolorate per quella perdita della loro madre e nonostante tutto quel che c'era stato, tutto il dolore che mi aveva causato Caleb, in quel momento non riuscivo a comprendere se avessi perso definitivamente soltanto lui oppure se con lui avessi perso anche una parte di me.
Il senso di colpa che mi aveva attanagliato corpo e anima durante il giorno prima del funerale, nel quale ero rimasta a crogiolarmi in silenzio nei ricordi ed a soffrire a causa di tutte le chiamate alle quali avrei potuto rispondere, a chiedermi che cosa avrebbe voluto dirmi, adesso non c'era più.
Caleb aveva smesso con le telefonate.
In quel momento però non sentivo più niente, non provavo più niente, ero uno scrigno vuoto e buio, privo di ogni contenuto.
In quel momento compresi che se n'era andato sul serio. Quella volta per sempre.
Continuavo a tenere salda la mano sulla sua bara in legno lucido mentre piangevo lacrime calde, come se avesse potuto sentirla, la mia mano. Come se avesse potuto sentirci tutti, lì per lui.

Come riparo dalla pioggia che continuava a cadere incessantemente solo il portellone posteriore dell'auto con la quale Caleb avrebbe fatto quel suo ultimo decisivo viaggio. Accanto a me Sofi mi stringeva forte. C'erano tutti, perfino Dalila e Grace, addirittura Theo, sulla scalinata non troppo distante della chiesa osservava tutto Raul, che mi aveva seguito dalla Svizzera e che sarebbe rimasto a casa di Sofi, chissà per quanto. C'erano davvero tutti, tutti tranne Liam.

Ci furono tante parole quel giorno a riempire l'aria.
Parole di conforto pronunciate da persone i cui volti mi parevano offuscati e mischiati fra loro, come pittura astratta e sbiadita su una tela strappata. C'era chi aveva promesso che ci sarebbe stato accanto nel prossimo futuro per accertarsi che fossimo riusciti a superare quell'immenso tormento, c'era chi aveva promesso di venire a farci visita, chi invece ci aveva guardato con gli occhi compassionevoli di chi aveva assaggiato lo stesso infausto ed amaro sapore del lutto. Si dice che nessuno muoia veramente se custodito nei ricordi di chi resta. In confidenza voglio dirvi che, a chi resta, i ricordi non basteranno mai. Mai. Per chi resta ci sarà sempre un prima ed un dopo la scomparsa, e per quanto le persone possano starti vicino, di fronte al dolore del lutto ci si inginocchia sempre da soli. Il dolore della perdita di una persona cara ci rende inermi, nudi di fronte alla verità di non contare nulla quando si tratta dello scadere nel nostro tempo. L'essere umano abituato ad etichettare ogni genere di cosa viene proiettato nella più cieca impossibilità di agire, marcare, definire, delineare e spiegare. Come lo vogliamo spiegare il baratro di quel dolore che ti sventra da dentro al petto? Non dormii per diverse notti, appena lo feci tornai a sognare.


*****

Ero di nuovo nel villaggio nero. Non mi trovavo però esattamente dove ricordavo di essere caduta, ero più vicina ad una sponda del fiume, per terra su un terreno arido. Un paesaggio così tanto spettrale mai avrei immaginato di vederlo, il cielo non era celeste ma grigio e coperto da una coltre di nebbia e nuvole scure, forse in realtà non era neppure il cielo quello. Sentivo la testa pulsare, facendo affidamento alle braccia mi tirai su, infine lentamente riuscii ad alzarmi. Appena mi fui completamente messa in piedi sentii un paio di occhi su di me. Caleb.
Era lì, nel mio incubo, e questa volta non era solo una voce, era lì per davvero. Mi sentii mancare la forza nelle gambe. Com'era possibile? Le lacrime arrivarono veloci, facevo difficoltà a mettere in ordine i pensieri e le parole. Perché era lì? Perché ero lì con lui? Cercai la mia voce e la trovai nascosta, mi feci coraggio e la voce uscì spezzata e flebile <<Caleb... Sei qui ma tu... tu sei morto Caleb, io ero al funerale, io ti ho visto... ed ora tu sei qui, in questo posto così...Ti ho portato io qui? Caleb scusami io, io ho detto e pensato tante cose ma non volevo finisse così, vai via da qui ti prego.. questo posto sembra l'inferno devi andare via!>> gli intimai affannata, continuavo a singhiozzare fra i fiumi di lacrime. Lui mi sorrise <<Questo è l'inferno ma non è come credi Rissy. Non esiste un posto solo in cui andare dopo la morte. Non si viene semplicemente rilegati dall'uno o dall'altro lato. Nessuno può mai essere giudicato abbastanza buono da finire unicamente in paradiso, non credi? Qui si può sostare dall'uno o dall'altro lato liberamente, anche qui ci si prende il bello ed il brutto in un eterno via vai, si resta nell'eterna coesistenza fra bene e male in modo da poter comprendere appieno l'una e l'altra faccia della medaglia. Quel precipizio>> indicò in alto la punta dello strapiombo da cui avevo saltato <<è il confine fra l'Ade e l'Eden, il sentiero è la via di accesso ad entrambe, inizia molto lontano da qui e lì beh, diciamo che sul sentiero non ci sono ossa rotte ma prato e fiori, lo scenario cambia man mano che ci si avvicina al fiume Acheronte>> terminò la frase guardando lungo l'altra sponda di quel fiume spettrale. <<Aspetta vuoi dire che questo è il fiume Acheronte... quello in cui si trova Caronte il traghettatore?>> Caleb annuì. Rabbrividii al sol pensiero. Non c'era altro che desolazione, aridità, l'aria era irrespirabile. Come potevano esserci addirittura delle case in quel posto? <<Ma com'è possibile che qualcuno decida deliberatamente di sostare all'inferno? Chi vorrebbe farlo? Chi vorrebbe vivere in quelle case nere?>> chiesi indicandole non lontane. <<Qui non vige la ragione, qui le anime vengono messe a nudo. Tutti hanno motivo per sentirsi attratti da entrambi i lati è la natura dell'essere umano, quelle case non sono fatte per viverci, sono un rifugio per i viandanti. Un punto nel quale fermarsi a riposare durante il percorso fra i due mondi>>. Mi sentii ancora più confusa.
<<Caleb io... mi dispiace non aver risposto alle tue chiamate, ed averti urlato contro ma...io volevo solo dimenticare...>>. Lui mi sorrise ancora comprensivo. <<Non importa Rissy non hai fatto nulla che io debba perdonarti, anzi sono io a doverti chiedere ancora una volta perdono, mi dispiace che tu sia finita qui, probabilmente è a causa mia e del mio desiderio egoista di averti con me. Questo non è il tuo incubo Rissy, ma il mio. Tutte le volte nelle quali mi sono trovato ad un passo dalla morte, le volte nelle quali sono rimasto e ci ho trascinato te qui con me ogni volta, ad ogni incubo>>. Questa era la spiegazione che aspettavo, la motivazione dietro quell'incubo ricorrente.
<<Com è accaduto Caleb? Come sei morto?>>.
<<Mi dispiace Rissy, ora sei tu ad essere libera di andare. Ti auguro una vita felice. Non smetterò mai di amarti, voglio che tu sappia che non c'è stato giorno in cui non mi sia pentito di aver fatto quello che ho fatto>>.

Ti vedo quando chiudo gli occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora