Capitolo 68 - L'impazienza è maestra nell'arte di temporeggiare

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Giulia

Come mi è venuto in mente di proporle di andare a casa sua? Credo sia il posto dove in assoluto abbiamo più ricordi insieme. Non saprei dire quale idea più stupida io abbia mai avuto. D'altra parte, esiste forse un luogo in cui non abbiamo condiviso memorie per me indissolubili?

Senza rendermene realmente conto, mi stringo a lei con ancora più forza. Non so quanto a lungo Chiara abbia intenzione di restare nella mia vita prima di svanire di nuovo. E, purtroppo, dubito che spenderemo insieme momenti gioiosi. Forse quella che provo ora è la massima felicità che posso permettermi.

Mi crederesti, se te lo dicessi? Che mi rendi felice. Più di quanto abbia fatto chiunque altro in questi anni. Anche adesso, anche dopo tutto il male che mi hai fatto provare, ancora ti amo Chiara. Come sia possibile davvero non lo so. Tu sei la scelta nociva che mi ha fatto sentire meglio di qualsiasi altra decisione abbia preso in vita mia. Sei il veleno che riesce a curarmi da tutte le ferite, anche da quelle che hai causato tu stessa. Non so se avrebbe senso ai tuoi occhi. Di sicuro qualunque persona normale mi darebbe per pazza. In fondo, però, lo sei anche tu. Ho sempre amato il lato pazzo di te. Perché adesso ho così paura che spunti di nuovo fuori? Forse perché, a conti fatti, ho il timore di non essere più in grado di affrontarlo.

Ci fermiamo, ma le mie braccia si allontanano dal suo busto con qualche minuto di ritardo. Chiara non protesta, mi sembra molto più rilassata di quello che ho potuto osservare in lei negli ultimi tempi.

«Hai fame?»

La sua faccia mi porge delle scuse per la domanda prendi tempo che mi ha rifilato. Tuttavia, sorrido e annuisco. Anche questo mi era mancato di lei. Avrebbe saputo essere diretta con chiunque, ma con me era perennemente impacciata. Questo l'ha sempre resa molto tenera ai miei occhi.

«Quel posto in cui mi hai portato... Be', è ancora aperto?» domando d'impulso. Portare in ballo il nostro primo appuntamento non mi sembra il massimo al momento, tuttavia nulla sarebbe realmente peggio di tornare in quella casa adesso. Credo di sapere meglio di chiunque altro come i ricordi possano annebbiare la mente e impedire ad una persona di ponderare le sue scelte a dovere. Non voglio che succeda adesso, a me ma soprattutto a Chiara. Ho sempre avuto i nervi molto più saldi dei suoi, credo che se ne sarebbe accorto chiunque.

La corvina annuisce piano. Il mio sorriso di scuse non viene ricambiato, se non da un piccolo cenno. Forse è questo il motivo per cui è scappata da me, perché non ho saputo renderla tanto felice quanto lei aveva sempre reso me.

«Giulia?» richiama la mia attenzione una volta che siamo sedute al tavolo del locale. Sentirle pronunciare il mio nome ha un effetto sbagliato sul mio corpo e sulla mia psiche; sbagliato perché suona troppo bene alle mie orecchie. Sono quelle piccolezze che quando dette da terzi fanno accapponare la pelle e venire il diabete, ma che si comprendono davvero solo una volta che si vivono in prima persona.

Un misero mugugno è la sola risposta che riesco a darle, mentre cerco di sopprimere i ricordi e concentrarmi non solo sul tempo presente, ma sulla situazione e sul contesto attuali.

«Sono felice di essere con te. Davvero» assicura con tono serio, molto più serio e piatto di quello che una persona effettivamente felice userebbe. «Non... Non farti ingannare dalle medicine o dalla mia stanchezza per favore» mi supplica in un sussurro. Un sorriso stravolto si fa strada sul suo volto, diretto verso di me. Sarà pur contraffatto dal suo essere esausta, ma dopo tutto questo tempo mi pare pur sempre bellissimo.

«Medicine?» domando curiosa. Mi racconta di essere in cura da uno psichiatra. Il modo in cui lo dice mi lascia intendere che le cose non stiano andando bene, o che in ogni caso imbottirsi di farmaci non l'ha portata ad alcun risultato.

«Posso chiederti come mai hai preso questa decisione?»

Glielo domando quasi a bassa voce, come se una parte di me, la quale fatico a riconoscere, avesse paura di entrare nel suo piccolo mondo. Se questo sia il mondo che ho sempre conosciuto e che Chiara ha sempre condiviso con me, oppure quello che si è costruita dopo l'incidente, non ne sono sicura.

La corvina ci pensa attentamente, per un attimo sembra quasi interdetta, come se si aspettasse che io lo sapessi già.

«Volevo provare a stare meglio. Dopo l'incidente e... Non volevo commettere gli stessi errori del passato, non volevo ferire in modo irrimediabile qualcuno come feci con te quel giorno. Non volevo che la cosa che sono si mettesse ancora in mezzo.»

Non sei una cosa, dannazione, te lo ho detto mille volte. I tuoi problemi non ti rendono meno persona di quello che sei Chiara. Sei solo diversa, ma resti comunque e sempre umana.

Annuisco. Qualsiasi cosa fossi abituata a dire, qualsiasi rimprovero abbia speso anni a recitare in modo animato, tutto quello che era ormai si è trasformato in qualcosa che non mi compete più. Allo stesso modo, avrei tante domande riguardo il perché abbia scelto di migliorarsi per qualcun altro invece che restare con me, tuttavia le confino in una sezione del mio cervello sperando di avere abbastanza forza di volontà da non attingervi mai in sua presenza.

Ordiniamo, dopodiché un silenzio teso e pieno di parole non dette riempie la poca distanza fra noi. Proviamo entrambe a sostituire questa nuvola opprimente con poche parole inutili. Cosa hai fatto, come te la sei passata. Tutte domande senza senso, a cui nessuna delle due risponde in modo più che appena esauriente, come se liquidassimo da sole i nostri stessi tentativi di prendere tempo.

Ne è passato fin troppo, non pensi? Dovremmo smetterla di fare le bambine. Dov'è finito il nostro coraggio? Che ne è della nostra scioltezza, Chiara?

«Non credo di voler aspettare ancora» dico a mezza voce, interrompendo la sua ennesima frase vuota. Per questo, non ho il coraggio di guardarla in faccia. Non l'ho mai interrotta prima in tutta la mia vita. Sento le sue posate posarsi sul piatto.

«Nemmeno io» risponde. «Puoi guardarmi per favore?»

La sua richiesta giunge improvvisa. Casca a fagiolo per la situazione, ma avverto come sia in realtà solo una sua necessità, il puro bisogno di avere i miei occhi addosso, a dettare tali parole. Sollevo lo sguardo su di lei.

Dico spesso che ti comporti in modo molto diverso da quasi quattro anni fa. Non credo però che questo significhi che tu sia effettivamente cambiata. Perché ancora oggi, ancora adesso, io ti guardo e in quelle occhiaie marcate, quel volto stanco e quegli occhi neri portavoce di un incommensurabile dolore io continuo a vedere sempre e comunque te.

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