Capitolo 42 - La forma della nostalgia sono le fotografie

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Sconosciuto

«Tesoro, sei sicura di non voler venire?» ribadisce ancora mia madre, molto probabilmente dalla camera da letto. La raggiungo, accostandomi allo stipite della porta e guardandola attraverso la specchiera.

«Decisamente mamma, grazie» affermo con tono definitivo, ridacchiando appena.

La fantastica esperienza della replica di un'opera di teatro francese muta, come posso decidere di perdermela così a cuor leggero? Quale vergogna, quanta sconsideratezza!

Mia madre solleva gli occhi al cielo, sorridendo mentre armeggia per infilarsi l'ultimo orecchino.

«Non sai apprezzare l'alta cultura» mi schernisce.

«Assolutamente, è così riprovevole da parte mia rifiutarmi di vedere la stessa cosa per la quinta volta!»

Mi avvicino per darle una mano, ricevendo un semplice cenno del capo come risposta. Credo che quella che sembra essere la maggior passione teatrale dei miei genitori sia letteralmente la rappresentazione più incomprensibile e noiosa che abbia visto in vita mia. Apprezzo molto il teatro come il cinema, anche classico, ma credo che questo spettacolo sia un po' troppo al di là dei miei limiti perché io possa capirlo.

«Bene, allora resta pure qui sola soletta mentre noi andiamo a goderci una grande serata» cerca di stuzzicarmi mio padre, sistemandosi la cravatta e la giacca.

Li accompagno alla porta e scambio con loro un breve saluto, il quale include i dieci minuti di raccomandazioni da parte di mia madre: lo stesso preciso identico discorso che ripete, temo, dal giorno in cui ho mosso i miei primi passi. Potrei recitarlo quasi a memoria, ma a lei questo non interessa: lo ripeterà ogni singola volta, dalla prima all'ultima parola, e guai se qualcuno prova a interromperla.

Rimasta sola, ancora con un leggero sorriso in volto, finisco di sistemare la cucina, dopodiché mi dirigo in camera. Mi siedo sul mio letto, cercando di sopprimere il malessere che provo. So che non mi fa bene, ma Tommaso sente parlare di Lei fin troppo spesso, ogni tanto voglio dargli almeno un po' di tregua. E lui è l'unico che sappia quanto Lei mi manchi davvero.

Anche loro si conoscevano molto bene, eppure quando sparì dalla mia vita lo fece anche dalla sua. Non che prima si fossero mai visti se non quando io invitavo Tommaso ad uscire o viceversa. Però mi sembrò sempre che andassero molto d'accordo e fossero diventati buoni amici. Il biondo spesso dice che, se mai la incontrasse, la prima cosa che farebbe sarebbe darle un bel pugno sul naso.

Tom è quel tipo di persona che cerca di comprendere gli altri, anche quando prendono decisioni che sono totalmente opposte alle sue opinioni, ai suoi valori o a quello in cui lui crede. Lo fa soprattutto con me, dato che siamo davvero molto diversi, però è sempre stato estremamente comprensivo anche con Lei. Credo che manchi anche a lui averla intorno, sebbene non lo ammetterebbe mai. Per quanto possa tacere a parole, i suoi occhi mi rivelano quel velo di nostalgia che prova ogni qual volta ne parliamo.

Il mio sguardo percorre la stanza diverse volte, prima di soffermarsi sulle foto appese al muro. Solo adesso realizzo che forse camera mia non è il migliore dei posti in cui stare sola, ma è troppo tardi. Percepisco il mio corpo troppo pesante anche solo per pensare di potermi muovere, adesso. Quel volto perseguita i miei ricordi ed ora come ora non saprei dire cosa mi faccia più male: vederlo nella mia testa o rinchiuso in quelle fotografie, immobile.

Mi manchi. Non credo di essere in grado di dire altro a questo punto. La vita con te era diversa. Sembra sia irrilevante quanti giorni di distanza si accumulino fra me e te, rimani il mio chiodo fisso.

Ho sempre creduto che quanto distingue l'amore dall'ossessione fosse la capacità di distaccarsi dal primo quando questo non funziona. Per ironia della sorte, sono io stessa ad insegnarmi che non è affatto così. Sono certa di non aver mai provato un'ossessione per Lei, eppure l'amore che ho portato e porto tutt'ora dentro di me è sufficiente per fare sì che il mio cuore continui, per inerzia più che per forza, a sillabare il suo nome ad ogni battito.

Sono anni che cerco di liberarmi di te. Non mi lasci mai avere nemmeno un momento di solitudine, ma certamente non era questo il "per sempre" che mi figuravo tutte le volte che mi promettevi la tua incondizionata permanenza nella mia vita. Hai mantenuto la parola data, tuo malgrado, ma non so se questo sia un bene.

Ho sempre ritenuto, nella mia vita, di potermi fidare ciecamente di me stessa e delle mie competenze nell'affrontare la vita. Non sono mai stata l'esempio di qualcuno che si lasci distruggere dagli inconvenienti, non importa quanto grandi o gravi, né l'emblema di coloro che annegano nei propri sentimenti e annaspano nella loro stessa esistenza. Non ho mai nemmeno rifuggito i problemi. Eppure, quando si parla di Lei tutto è diverso.

Sei la sola cosa che non riesco a rifuggire. Non posso nasconderti, non posso accantonarti. Non posso vincerti e non posso scappare da te. Non posso affrontarti né batterti. Sei la mia sola impotenza, la mia sola immobilità. Vorrei essere crudele abbastanza da poterti odiare per questo.

È un desiderio che mi coglie solo a volte, però in quelle poche occasioni lo desidero con tutta me stessa. A rischio di essere arrogante, non credo di aver mai meritato che qualcuno mi facesse provare tanto dolore. Soprattutto noi Lei, non la persona di cui io mi sia più presa cura, quella verso la quale io abbia provato la più profonda tenerezza.

Vorrei avere la capacità di lasciarti andare una volta per tutte. Confinare quello che siamo state nel passato che appartiene alle mie memorie. Smettere di sperare, incoscientemente, che qualcosa possa cambiare. Cessare la sequela di irrazionali bugie che tentano di convincermi che potremmo, un giorno, incontrarci di nuovo.

Sospiro ancora, consapevole che questo non è sufficiente a mettere un vero freno alle mie divagazioni.

Sto mentendo anche a me stessa. Non vorrei mai dimenticarti. Vorrei solo riuscire a sapere di averti amata senza essere costretta a percepire questo continuo vuoto che hai lasciato nella mia vita, un vuoto che nessuno potrà mai riempire. Vorrei solo poterti amare di sottofondo, di un amore che non continui a essere protagonista della vita nella quale – odio ammetterlo – tu sei stata, per tua scelta, una comparsa.

Lei è la mia spada di Damocle, il mio chiodo fisso, il mio punto debole. E so che la sua assenza è, in qualche modo, la mia condanna.

Perché non puoi essere qui? A fare le battute più stupide mentre mi tieni per mano, oppure a raccontarmi tutte le figuracce fatte il giorno prima a chissà quale festa. A dirmi che tutto quello che dicono le persone sull'amore, che "è passeggero" oppure che "non è fatto per durare", sono solo fandonie e noi ne saremo la prova. A pianificare un futuro distante decenni con me, aggrottando le sopracciglia in quel modo buffo quando senti i nomi che mi piacerebbe dare ai nostri figli. A raccontarmi dei casini che hai combinato da bambina, o di come ti piacesse sederti davanti quando guidava tuo padre. Ad ascoltarmi mentre parlo di tutto e niente e ti racconto perché le foglie in autunno sono più belle. Oppure solo per restare in silenzio al mio fianco, facendomi sentire più viva che mai. Perché non puoi essere qui e basta?

Il suo sguardo scuro e silenzioso ricambia il mio, lasciandomi senza risposte e con lo stesso vuoto nel petto che sento ormai da anni.

Ne sono passati tre. E otto mesi. E di te, nessuna traccia. Ti sei trasferita? Ne dubito. Troppo attaccata al tuo territorio, alla casa dove sei cresciuta. Chiedo scusa, ho ancora l'abitudine di credere di conoscerti. Eppure, come posso essere così tanto arrogante? Dicevi di essere legata a me, di amarmi, forse non quanto entrambe credevamo; di certo non abbastanza per farti restare.

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