13. AKI

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Giugno 2022 - Fregene


La aspettò per tutto il giorno seguente, e poi anche per i giorni successivi, la sensazione di disagio, ma non arrivò mai. Continuarono a convivere in tranquillità, la casa sempre avvolta in una quiete piacevole o nelle note soffuse della musica che piaceva ad entrambi ascoltare a basso volume mentre lavoravano al pc. Si alternavano nella preparazione dei pasti, spesso condividevano lo stesso tavolo in cucina, a volte dopo cena se ne stavano sotto il portico a guardare la luce del giorno estinguersi e rientravano solo una volta che si era fatto completamente buio attorno a loro. Viola stretta nella sua felpa gialla leggeva sul dondolo, non aveva più accennato a Lorenzo, nonostante fosse più silenziosa del solito.

Parlavano poco, ed Aki iniziò a porle più domande, aprire spiragli, avviare conversazioni. Viola era una creatura amabile, sapeva stare in silenzio così come sapeva chiacchierare vivacemente. Le loro conversazioni non furono quasi mai impacciate, con lei era impossibile. Ed Aki si ritrovò a dire ad alta voce cose che per anni non aveva avuto neanche il coraggio di pensare.

«Dimmi una cosa che non sa nessuno.»

Glielo chiese un pomeriggio mentre stavano sotto il portico sorseggiando latte e menta in attesa che i pavimenti appena lavati si asciugassero. Faceva così caldo che l'acqua era evaporata quasi subito, ma loro non avevano accennato a rientrare e riprendere il proprio lavoro. Viola dondolava oziosamente, mentre succhiava dalla cannuccia a righe il contenuto verdolino del proprio bicchiere e lo guardava pensosa.

Da quando si erano ubriacati lei sembrava meno circospetta attorno a lui, meno timorosa, e si prendeva rischi che prima aveva accuratamente evitato. Uno di questi era porgli domande scomode nei momenti in cui lui meno se lo aspettava. 

«No», la bloccò immediatamente. Sorrideva però, e Viola lo interpretò come un invito a ritentare.

«Perché no?» Lo squadrò storto da dietro l'orlo il vetro del bicchiere, i piedi nudi contro il tavolino per darsi slancio sul dondolo.

Adorava dondolare, Aki, in oltre vent'anni di vacanze in quella casa, non credeva di aver mai visto nessuno abitare ed utilizzare con tanta gioia quel vecchio dondolo in ferro battuto. Susanna recentemente aveva fatto rifoderare tutti i cuscini, una volta giallo sbiadito e ora bianco candido, ma quasi tutti loro preferivano le poltroncine o scendere giù al pontile, e così il dondolo se ne era rimasto vuoto ed abbandonato.

«Se nessuno la sa un motivo ci sarà, non credi?»

Lei non parve d'accordo. Voleva un segreto. Risucchiò con evidente disappunto quello che rimaneva del suo bicchiere di latte, un gorgoglio rabbioso che fece capire ad Aki che non era contenta.

«Tu cosa mi dici in cambio?»

«Non tutto deve essere un do ut des», si lamentò lei, bloccando con i piedi il dondolo per potersi sporgere a posare il bicchiere sul tavolino. Indossava di nuovo il suo prendisole giallo, e nel chinarsi Aki le vide la schiena abbronzata, le efelidi che si spingevano anche lì, il segno bianco del laccio del costume da bagno. 

Fece un respiro più profondo del solito, per ritrovare l'equilibrio e calmarsi. «Ho un tatuaggio.»

«Qualcosa di vero..», lo rimproverò lei non guardandolo, ancora piegata in avanti per asciugare con un tovagliolo la macchia di condensa lasciata sul legno.

Lui continuò a fissarle le scapole, la colonna vertebrale che sembrava una catena montuosa che sinuosa le percorreva il dorso e scompariva oltre il cotone color canarino, il neo che aveva alla base del collo, perfettamente posizionato sulla linea mediana.

«È vero. L'ho fatto in Finlandia, totalmente a caso. Ho visto lo studio aperto, mi sono fermato e ho chiesto se fossero liberi in quel momento. E l'ho fatto.»

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