5 - Bambini di fiume

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Il palazzo è silenzioso mentre inserisco la chiave nella serratura

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Il palazzo è silenzioso mentre inserisco la chiave nella serratura. Christian ha il turno di notte e la casa è vuota. Mi stendo vestita sul letto con una strana sensazione di agitazione: vedere Evan nel vicolo mi ha lasciata scossa, anche più dell'incontro con Stan. Anni fa, quando lui era ancora un ragazzino, è successo qualcosa di grave che ha coinvolto lui e la famiglia Zanardi. All'epoca ero poco più che una bambina e mi ricordo poco, ma so che vivevamo ancora con loro e che ci sono stati momenti in cui gli adulti avevano molta paura. Sam mi stringeva forte e diceva che sarebbe andato tutto bene, che non mi dovevo preoccupare. È una storia del passato, non devo farmi impressionare. Qualsiasi cosa Evan sia venuto a fare al Black, riguarda solo Alex, quell'uomo strano, non noi.

Sono così stanca che mi addormento vestita con l'immagine di Alex in mente ed è la prima persona a cui penso al risveglio, la mattina dopo. La testa mi scoppia e la sveglia sul comodino segna le 10. Non ho fretta perché al chiosco ho il turno pomeridiano, ma la casa ancora silenziosa fa scattare un campanello d'allarme nella testa. Christian. E quasi cado dal letto mentre cerco di districarmi dalle lenzuola. La casa è gelata, per quanto l'appartamento sia passabile, dagli stipiti passano correnti d'aria fredda di fine novembre. Il cellulare è ancora incastrato sotto gli ombrelli dove l'avevo gettato la sera prima e fisso le dieci chiamate perse con un senso di angoscia e terrore. Sblocco il telefono e provo a richiamare. È staccato. Passo le dita tra i ricci annodati e penso che il mio karma abbia deciso di farmela pagare. Provo altre tre volte poi mi svesto e mi infilo sotto la doccia. Chris sta bene, è di servizio. Avrà avuto un contrattempo. Purtroppo il vapore caldo smorza l'adrenalina e porta con sé immagini terribili. Sposto il rubinetto sull'acqua ghiacciata e butto sotto la testa. Chris in ospedale, che mi prende su con un solo braccio perché l'altro è spezzato, il viso pieno di lividi, tutto viene portato via dall'acqua. Certe cose non si dimenticano mai. Esco e mi avvolgo nell'asciugamano. Mi asciugo i capelli a testa in giù rendendoli ancora più ingovernabili e li imprigiono in una coda. Infilo un paio di jeans e una camicia bianca, afferro la divisa del lavoro, la borsa con dentro il cellulare, poi mi viene in mente di lasciare un biglietto sul frigo. Io e Chris ci vediamo poco e comunichiamo così.

Sono preoccupata. Appena puoi chiamami.

***

«Manca l'ordine del tavolo due».

Il Sogno Makena è un locale vicino al porto che ha aperto da qualche anno; ci lavoro da quando ho abbandonato l'università. In cucina c'è Makoa, cuoco hawaiano e proprietario, che delizia i nostri clienti. Siamo pieni anche in un giorno feriale. Mi affretto a consegnare l'ultima ordinazione. Il pomeriggio è stato un inferno: nessuna notizia da mio fratello e, se non si fa vivo entro sera, lo vado a cercare e lo uccido. Asciugo le stoviglie sovrappensiero mentre Dafne mi osserva seduta al bancone. «Sei distratta».

«Scusami, mi parlavi dell'università?»

«Dovresti riprendere. I professori chiedono di te e dicono che un cervello come il tuo non può servire in un locale sulla spiaggia». Mi fulmina da sotto in su: «Lo penso anche io».

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