11 - Fragments

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Il picchiare della pioggia sul telo è la prima cosa che sento

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Il picchiare della pioggia sul telo è la prima cosa che sento. Lo sollevo e mi guardo intorno: non c'è nessuno. L'acqua lucida il cemento e scorre lungo il canale perimetrale. Per quanto tempo sono rimasta incosciente? Mi serve qualche istante per riordinare i ricordi. Alex. Devo aiutare Alex.

Mi alzo in piedi e un forte giramento di testa mi costringe ad appoggiarmi ai blocchi di cemento dietro di me. Non sento niente, solo un senso di stordimento e di panico. Osservo il sangue impregnare il giubbotto come se non mi appartenesse, poi ricordo il colpo di pistola. I rumori al di là del telo e tutto si confonde. Cerco il cellulare nella tasca dei jeans con la mano che trema e scivolo di nuovo seduta a terra. Digitare i numeri è impossibile, lo schermo si bagna e singhiozzo piano. Alla fine riesco ad aprire le ultime chiamate. L'acqua mi batte addosso e fatico a trattenere il telefono tra le dita. «Chris».

«Aria, sono le quattro del mattino. Sei a casa?»

«Vieni a prendermi».

Lo immagino con chiarezza sbattere la mano sul cruscotto dell'auto d'ordinanza e torturarsi i capelli chiari con stizza mentre mi ascolta parlare. «Dove sei?» La sua voce è lontana e guardo il telefono a terra, non so come ci sia finito. Lo schermo illuminato manda lievi riflessi arcobaleno e, dietro il vetro scheggiato, c'è il viso perfetto di Chris che mi strizza l'occhio. È una foto scattata nel giardino degli Zanardi.

«Aria. Rispondi, cazzo!».

Ci sono state parentesi felici, nella nostra vita, e lui ha sempre cercato il meglio per me. L'ho deluso sempre, ho giocato ad essere la peggiore tra le sorelle per fargli pagare peccati non suoi. «Mi dispiace» mormoro consapevole che non può sentirmi. Il cellulare si spegne. La pioggia mi batte sul viso gelato e mi appoggio ai blocchi di cemento. Mi perdo di nuovo.

Due braccia mi sollevano, ma non riesco ad aprire gli occhi. La pioggia è fitta, ma non mi batte più sul viso e un respiro affannato si mescola al mio, lento e faticoso.

«Ti prego, apri gli occhi». Li socchiudo, è lui a farmi scudo e mi sorride. «Occhi aperti, sorellina. Va bene?» Scende le scale scivolando lungo i gradini, è spaventato a morte e sono sempre io la causa. «Mi dispiace, Chris».

«Cosa facevi... Non fa niente. Guardami, Aria. Guarda solo me». Spinge con forza la porta del garage e siamo di nuovo da Alex. Il materasso è squarciato, i fornelli ribaltati contro la parete. Hanno rovinato la parete con qualcosa di appuntito; le scritte non si leggono più. Mi viene il vomito. «Alex. Devi trovare Alex» mormoro.

Chris mi stringe al petto e apre con fatica il portellone. «Se lo trovo, lo ammazzo con le mie mani. Lo giuro».

«Non è stato lui».

«Sei in pericolo con gente come Tria. Aria, non puoi farmi questo. Non ce la faccio». Traffica con il telefono e se lo incastra tra la spalla e l'orecchio. «Agente Reina. Mi serve un'ambulanza tra la settima e il fiume. Dietro al Black Bridge».

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