3 - Bene, male e variabili impazzite

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Il panico mi assale e stringo i polsi di Stan per allentare la sua morsa sulla mia gola

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Il panico mi assale e stringo i polsi di Stan per allentare la sua morsa sulla mia gola. Spalanco le labbra in cerca d'aria e lui sorride. Il cuore mi rimbomba nelle orecchie insieme alla voce di Chris, quel giorno, quando mi è venuto a prendere in ospedale dopo che Stan mi aveva quasi ammazzata di botte. Il silenzio in macchina, la linea della mascella dura, i denti stretti a trattenere la rabbia e le parole che non voleva usare contro di me.

Alla fine aveva sfogato guidando a una velocità che credo si raggiunga solo in pista e io mi ero rannicchiata sul sedile, aggrappata alla portiera. Dopo minuti, che mi erano sembrati un'eternità, aveva ricominciato a respirare e mi aveva detto solo: «La paura, sfruttala a tuo favore. L'adrenalina ti aiuta a reagire. Devi trasformare il terrore di morire in voglia di sopravvivere». Non ne avevamo più parlato, ma la sera dopo era rientrato più tardi del solito e Stan non si era più fatto vedere. Dopo quella volta Chris mi aveva mostrato come difendermi. Con mio fratello, reagire sembra facile. Non stringe mai troppo e mi fa sempre vincere.

Guardo negli occhi Stan: si diverte, l'idiota. E poi lo vedo. Quello nuovo. Fermo alle sue spalle. Mi guarda e non fa niente. Un altro imbecille, penso con rabbia. Allora il mio corpo si muove come se non fossi io a comandarlo, e tutta la paura si scioglie nel sangue, si fonde con il battito del cuore.

Bilancia il peso. Allenta la stretta. Colpisci.

Gli afferro il polso con una mano e tiro forte verso il basso. Riesco a respirare. Nello stesso momento lo raggiungo al mento con il pungo chiuso dell'altra mano. Un dolore terribile mi corre dalle dita fino alla spalla, stringo i denti a trattenere un grido. Stan si piega in avanti e so cosa devo fare, ma non ci riesco. Alex è ancora lì, ma si è appoggiato al muro e mi fissa divertito.

«Vuoi i pop corn?» ansimo senza fiato.

Le luci sono basse, la musica è assordante e siamo in un angolo in disparte, ma il vero motivo per cui nessuno interviene è che, soprattutto al Black, la gente è abituata a farsi i fatti suoi. Mi appoggio alla spalla di Stan ancora piegato, per colpire con più forza all'inguine.

Quando crolla in ginocchio, Alex si stacca dal muro e lo solleva di peso. «Adesso te ne vai».

Ho il fiato corto e la vista appannata, ma resto lì, a guardare Stan che si solleva e si rivolge a quello nuovo come se si conoscessero da sempre. Tra idioti, del resto, ci si intende.

«Sono venuto per te, Tria». Disprezzo e, forse, paura nella sua voce.

«Invece te ne vai». Alex lo spinge verso la porta.

«Evan ti vuole».

«Ho chiuso».

«Non si chiude con lui, lo sai».

Non capisco di cosa parlino, ma finalmente sul viso del nuovo arrivato scorgo un'emozione. Ha una ruga tra le sopracciglia, come se fosse preoccupato. Lo sarei anch'io. Evan non è un tipo facile: se dice una cosa, tu la fai, oppure ti trovano morto da qualche parte. A volte neppure ti trovano più.

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