37 - Sciogliere ogni nodo

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Il giudice mi fissa con sguardo severo attraverso spesse lenti, si accarezza la barba corta, poi appoggia le mani sul banco di legno

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Il giudice mi fissa con sguardo severo attraverso spesse lenti, si accarezza la barba corta, poi appoggia le mani sul banco di legno. L'aula è silenziosa e semivuota, ma ogni respiro rimbomba tra le pareti spoglie. Non conosco nessuna delle persone presenti, eccetto Evan che, seduto su una delle sedie più lontane, mi fissa senza espressione. Non li ho traditi, non ho parlato, e sto per pagare più di tutti.

«Alexander Tria» inizia il giudice, con voce ferma e autoritaria. «La corte ha esaminato tutte le prove presentate durante il processo. Sebbene non vi siano prove schiaccianti che Lei sia responsabile dei due omicidi avvenuti nell'appartamento in cui ha commesso il reato di furto, la Sua presenza sulla scena del crimine, insieme al reato di furto con scasso, è indiscutibile».

Il peso di quelle parole grava su di me. Ogni frase si conficca come un chiodo e mi blocca allo schienale.

«Questa corte la condanna a cinque anni di reclusione per il reato di furto aggravato e intrusione illegale». Il giudice fa una pausa prima di continuare. «La sentenza riflette la gravità del Suo comportamento e la necessità di proteggere la società da ulteriori atti criminali e vuole essere un esempio, a fronte delle numerose azioni criminali perpetrate nella zona».

Sento il mondo crollarmi addosso mentre il giudice pronuncia la condanna. 

«Questa corte non può inoltre ignorare che in carcere Lei si è macchiato di un ulteriore, gravissimo, delitto: l'omicidio di un altro detenuto. La corte ritiene quindi necessario rivedere la Sua pena». Il giudice mi guarda fisso. «La Sua condanna viene estesa di ulteriori cinque anni, per un totale di dieci anni di reclusione».

Dieci anni. La mia mente è in tumulto, cerca di processare la realtà e non ne è in grado.

«La corte spera che Lei possa riflettere sulle Sue azioni e trovare una strada migliore durante questo periodo». Un dolore intenso mi sbatte nella cassa toracica al posto del battito cardiaco. Il colpo secco del martelletto conclude la sessione.

Le guardie si avvicinano per scortarmi fuori dall'aula. Le gambe mi tremano mentre vengo condotto via. 

«Mi vedi, Alex?»

L'acqua lambisce il tessuto della camicia, bagnandola fino a metà schiena. Il freddo sale lungo la schiena fino al cervello. Sono lì, e non ci sono più. Ho smesso di contare il tempo, non riesco a seguire la luce. Non so più con certezza se il buio sia intorno a me o dentro, se ho gli occhi aperti oppure chiusi. I crampi allo stomaco, fino a poco tempo fa insopportabili, si sono calmati, non li sento più. Ho vomitato l'acqua che avevo bevuto, ma non ricordo quando. 

In carcere i giorni sono tutti uguali, lenti, scanditi dalle monotone attività quotidiane, ma io ho un nuovo obbiettivo. Seduto alla scrivania della mia cella, circondato da libri e appunti, ma tormentato dal dolore alla schiena che torna a farsi sentire in maniera ciclica, leggo e studio. Vivo un'opportunità che da persona libera mi è mancata. 

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