30 - Imparare a cadere

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Ero davvero convinto di vagare senza una meta, in attesa del mio appuntamento con David sotto alla scogliera, ma il destino ti sbatte davanti implacabile proprio quello che sei destinato a incrociare lungo la tua strada. Non mi stupisco quindi di trovarmi a pochi metri dal chiosco dove lavora Aria. Stringo le scarpe tra le mani e mi giro per tornare al parcheggio poco distante dove ho lasciato la moto. Una gamba dei pantaloni ha raccolto un po' di sabbia e mi chino ad arrotolarli. Avrei voglia di andare da lei, ma a questo punto come potrei limitarmi a un saluto amichevole dopo quello che c'è stato tra noi? Ho messo abbastanza a rischio la vita di Aria. Poi c'è Dafne e il nostro bambino. Mi concedo di guardarla da lontano mentre prende le ordinazioni a un tavolo accanto alla spiaggia. Quello che succede dopo mi dà una misera scusa per avvicinarmi invece che sparire. Una delle mie tante pessime idee.

Da lontano posso solo immaginare quello che il viscido verme seduto al tavolino ha detto ad Aria prima di palparle il sedere. I ragazzi giù alla spiaggia sono pieni di soldi, è facile che considerino le cameriere come parte del servizio bar. A stupirmi è invece quello che faccio io, d'impulso, senza pensare che dovrei tenermi lontano. 

In carcere ho imparato a restare immobile, a osservare e maturare una vendetta fredda e quindi ancora più terribile, ma quando si tratta di Aria il mio sistema nervoso va in tilt. Qualche istante dopo che Aria è sparita di nuovo dentro al chiosco mi avvicino ai due ragazzi. Conto il tempo che le occorrerà per consegnare l'ordinazione in cucina e tornare all'esterno. In pochi passi non troppo veloci raggiungo il tavolo. Il verme non mi vede neanche arrivare e quando si rende conto che sono lì è già a terra con la mia mano che gli preme di piatto sul collo. Sbianca subito, poi diventa cianotico e con gli occhi cerca aiuto dai suoi amici, ma loro sono immobili e non si azzardano neppure a respirare.

«Cos'hai detto alla cameriera?» ringhio.

Annaspa, boccheggia e so che la pressione che esercito sulla sua gola gli impedirà rispondere, ma non me ne importa niente. Mi chino su di lui e bisbiglio: «Non farti più vedere qui».

Appena lo lascio andare rotola via e scappa inciampando nei suoi piedi. I suoi compagni lo seguono, ma blocco quello più vicino a me: uno spilungone con il naso storto. Gli serro il polso in una morsa e lo guardo stringere i denti dal dolore. 

«Offri tu» gli dico. «Paga l'ordinazione e sparisci».

Lui lascia cadere sul tavolo una banconota da cinquanta e biascica un: «Non mi serve il resto».

Mi sfugge una risata secca. «Certo. Gentile». Gli mollo il polso, pentito di non aver stretto abbastanza da fratturare l'osso.

Traccio una frase in un angolo del menù e mi allontano. La gente mi guarda passare, poi riprende quello che stava facendo. Quando Aria torna al tavolo sono abbastanza lontano da guardarla senza essere visto. Lei controlla in controluce che la banconota sia vera e mi scappa un sorriso. Alla fine sfiora con la mano il menù dove le ho lasciato il primo pensiero che mi è venuto in mente e si guarda intorno. 

Inforco la moto e parto senza voltarmi indietro, dritto fino alla scogliera dove David è già pronto con l'attrezzatura per arrampicare. Ne ho avuto abbastanza per oggi, l'umanità mi delude, e il mio turno al Black inizia tra poche ore. La stanchezza che sento addosso pesa come una cappa scura che mi toglie il respiro. Penso alle parole che ho scritto di getto per lei. 

La nostra natura è quella di pungere. Non cambierà mai. 

«Pensavo che mi avresti dato buca». David fa un sorriso da ragazzino e io mi limito a lasciar cadere accanto alla sua, la borsa che ho portato. All'interno, sotto agli strumenti, c'è la tuta che uso per le operazioni di sabotaggio delle attività di Evan, ma non ha niente di particolare e non mi curo neanche di nasconderla. L'ho modificata per renderla più aderente e leggera, in modo da non essere ostacolato nei movimenti, si adatta perfettamente alla mia corporatura e mi permette una scalata molto veloce. All'apparenza comunque sembra una qualsiasi tuta impermeabile nera. La spingo verso il basso mentre prendo lo spit e le corde. «Non capisco a cosa ti serva arrampicare. Tu sei l'unico che resta sempre fuori dai guai». In ogni colpo David ha sempre disattivato gli allarmi da una zona nascosta, a debita distanza dall'edificio.

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