42 - Fiamme

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La mia ombra è grigia contro la parete bianca alle spalle del letto d'ospedale in cui Alex non riesce a prendere sonno

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La mia ombra è grigia contro la parete bianca alle spalle del letto d'ospedale in cui Alex non riesce a prendere sonno. Sono due giorni che non chiude occhio. Si siede qualche minuto, si alza di nuovo e percorre il corridoio così tante volte che quasi non gli servono più le stampelle. Dafne non viene da giorni, l'ultima volta che l'ho vista li ho sentiti gridare e quando ci siamo scontrate in corridoio, mentre se ne andava, mi ha detto che lui non capisce, che non vuole vedere la realtà.

«Hai sentito Dafne?» domando.

Lui mi lancia uno sguardo duro, gli occhi arrossati dalla stanchezza. «Non sono fatti tuoi».

«È la mia migliore amica e sta per partorire». 

Lui si passa la mano tra i capelli scompigliati e si alza di nuovo con un gesto spazientito. Le stampelle restano abbandonate accanto al letto. «Vuole scappare. Vuole che portiamo il bambino lontano da qui, dove Evan non arrivi».

Cerco di nascondere quanto questa notizia mi strazi l'anima. «È una buona idea». Lontano significa vivo. Lontano, con Dafne... lei sarebbe in grado di renderlo felice. «Evan verrà a cercarti. Andartene con lei, vivere felici con il vostro bambino...»

Lui si ferma, mi fissa. Mi fingo interessata a qualcosa fuori dalla finestra. La luna è piena, questa notte. «Aria...» 

«Un bambino ha bisogno di un padre vivo, Alex. Lo sappiamo bene entrambi, no?»

La sua mano si appoggia sulle mie spalle, mi fa voltare. Non riesco a guardarlo ed è uno sforzo immenso sollevare il viso quando lui mi spinge il mento in su. «Vorrei che sentissi quello che sento io». Nella sua voce vibra rabbia e frustrazione.

«Dovresti dormire».

Lui sospira. «Quando chiudo gli occhi vedo quelle pareti, sento l'odore dell'acqua stagnante. Non mi chiedere di tornare là».

Gli sorrido e lo spingo con una mano sul petto fino al letto. Il dolore può aspettare, gli addi sono nel futuro e questa notte è uno dei pochi momenti che abbiamo insieme. Lui si stende sul materasso e mi fa spazio, poi allunga una mano e mi tira dolcemente da un braccio. «Ci sono nodi che fanno male. Nodi impossibili da distruggere» mi sussurra all'orecchio. 

Le lacrime mi pungono gli occhi. Avrei voglia di accarezzarlo, di girarmi e baciargli le labbra fino a farlo impazzire, ma resto ferma a contatto con il suo corpo, la mia schiena stretta nel suo abbraccio, a pensare che per la prima volta nella mia vita mi sento a casa. «Si chiamano nodi infrangibili» mormoro appoggiando il viso al palmo della sua mano. 

Restiamo così mentre la luna sale alta nel cielo e so di essere in ritardo per il lavoro, ma non mi muovo finché non lo sento cedere al sonno. La mano che mi accarezza il fianco rallenta fino a fermarsi, il braccio si rilassa intorno a me e battito accelerato del suo cuore, contro la mia schiena, si fa di nuovo calmo. Mi giro a osservare il viso di Alex, finalmente rilassato, il respiro esce lento e profondo tra le labbra socchiuse. Non è nel pozzo, non più e farò di tutto per tenerlo lontano dal dolore, dovessi anche dirgli addio. Avvicino le labbra alle sue e le bacio piano, lui sorride di riflesso e scivolo piano giù dal letto. 

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