44 - Nodi Infrangibili

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Quando arriviamo al cantiere la strada è sbarrata dalla polizia che transenna la zona

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Quando arriviamo al cantiere la strada è sbarrata dalla polizia che transenna la zona. Procediamo per una strada laterale, a fari spenti. Lancio un'occhiata a David accanto a me, concentrato sulla guida, a quanto pare ha mandato anche i federali, in soccorso. Solleva le spalle imbarazzato. «L'allarme deve essere partito anche dagli agenti che sono stati aggrediti...» 

Dopo quelle parole si chiude in un silenzio teso. Lasciamo l'auto dietro al capannone principale, il più grande, perché sia nascosta alla vista, e scendiamo. Mi sono spostato davanti quando Aria si è addormentata, apro lo sportello dalla sua parte per controllare come sta, ma non reagisce. Dev'essere sfinita. Mi chino su di lei. 

Osservo il suo respiro accelerato e la vena sul collo che pulsa veloce. Il suo non è un sonno tranquillo, non questa notte. «Ti porto tuo fratello» bisbiglio al suo orecchio.

Sempre che l'idiota sia ancora vivo. 

Le luci lampeggianti delle auto di pattuglia si riflettono sulla parete anteriore. Ci sono tre pattuglie e un'ambulanza, ferme davanti all'edificio, ma nessuno a bloccare l'ingresso. Inchiodo appena varcata la soglia. Ci sono chiazze rosso scuro sul pavimento, taniche esplose, benzina che cola come sangue da una ruspa abbandonata. E ci sono segni di moto, che corrono lungo tutto il perimetro. Fermo David con una mano. «Sei armato?»

Lui scuote la testa. Afferro un tubo di metallo abbandonato sul pavimento nell'ipotesi che gli uomini di Evan non siano scappati tutti. «Ha fatto un casino. È un dannato casino». Dubito di trovare Reina ancora intero e David conferma la mia ipotesi. 

«Evan di solito è più prudente. Non si espone in questo modo. C'è qualcosa che lo manda in bestia quando si parla della famiglia Zanardi e soprattutto dei Reina. Christian, solo il suo nome lo fa uscire di testa».

Gli faccio cenno di restare in silenzio. A quanto pare al piano terra non c'è nessuno, salgo una scala di ferro che porta sulla balaustra da dove arrivano rumori metallici e voci. David mi segue e sbatte contro la mia schiena quando mi blocco di nuovo, con le mani strette a pugno. 

Il mio primo pensiero, quando vedo Reina, è che sia morto. Tre colleghi lo stanno tirando giù da un grosso gancio a cui è appeso per le braccia. Il viso è gonfio e iniziano a comparire segni lividi sugli zigomi. Una grossa macchia gli si allarga sulla divisa, lungo il fianco. Il corpo che stendono a terra appare privo di vita. 

Un agente apre le manette e gli libera le mani con un piccolo oggetto metallico che estrae dalla tasca della divisa. Si chiama Shim: apre qualsiasi serratura perché si infila tra il pignone e il dente del cricchetto. Lo conosco. Evan lo portava sempre in tasca quando ero un ragazzino. «Chris!» grido, ma la mia voce si perde nel frastuono che gli si muove intorno. Mi avvicino. I polsi dell'uomo sono solcati da segni profondi, le manette hanno inciso la pelle e lasciato la carne viva. Quanto tempo è rimasto appeso a quell'affare? 

La dottoressa Lima non lascia neanche il tempo agli agenti di stenderlo a terra e già è china su di lui. Lavora veloce con le mani, insieme a un altro paramedico. Taglia la camicia e poi la maglietta che Chris indossa sotto, intanto cerca di non piangere. Qualcosa, nel suo modo di guardarlo, mi fa capire quanto profondo sia il legame che li lega. Sam stringe le labbra mentre preme sui bordi della ferita nel fianco, il viso pallido e concentrato. «Chris...» mormora «Resta con me». 

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