Epilogo

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11 novembre 1918
Ama come nessuno abbia mai fatto, ama quella persona come se fosse l'ultima volta e fregatene di ciò che dice la gente.
Il giorno prima festeggiai il compleanno con una bottiglia di birra, mio fratello che singhiozzava per aver bevuto troppo velocemente e Dalila che rideva all'unisono con altri soldati.
«Ultimo combattimento, è quasi finita, vieni qui my lady.» la strinsi forte al mio petto, prima di sentire un altro cannone. Era ora dovevo entrare in scena io, John non ce l'avrebbe fatta e la maggior parte dei soldati era senza forze.
«Ultimo sforzo.» gridai mentre preparavo le armi a destra e sinistra del pantalone. Erano più o meno le sei del mattino. Tutti erano ai loro posti, mi accertai un'ultima volta che Dalila e John fossero al sicuro e osservai tutti gli uomini al mio fianco.
«Un merito per il nostro Maggiore.» urlò un soldato prima di riprendere posizione aspettando un mio segnale.
Eccolo lì, l'esercito avversario iniziò ad avanzare. Prima lentamente, per poi accelerare gradualmente. Eravamo pronti, iniziammo a camminare, poi a marciare per poi finire a correre contro dei proiettili e saltare per evitare le varie mine pazziate sotto il suolo. Iniziarono a morire le prime persone, iniziarono le grida di disperazione, le grida di supplica, ma qui nessuno guarda nessuno, sparava e uccideva. Un fischio, un conto alla rovescia e uno scoppio.
Non riuscivo a capire da dove provenisse tutto questo, la mente era offuscata quanto gli occhi, iniziai a vacillare, mi girai verso la mia amata che guardava, con le lacrime agli occhi e mio fratello che la reggeva pur di non farle fare qualche stronzata, come la prima volta. Gocce d'acqua scendevano come rugiada, prima sui capelli, poi sul viso per poi bagnare tutto il mio corpo pieno di polvere e di terreno, poi vidi il buio, lasciando la narrazione all'autrice.
Si concluse quella guerra durata cinque anni. La pioggia iniziò a cadere prepotente sul quel bagno di sangue che scivolava lentamente su quei corpi. Cessò il silenzio che le separava. È fu così che urlò, gridò il suo nome. Lei urlò col tutto il fiato in gola. Urlo e urlò, urlo per lei; solo per lei, per la donna che aveva sempre amato sin dal primo istante. Gridò fino a quando la voce pian piano non andò a scemare completamente.
Persino il silenzio e la morte stessa si inchinarono difronte a quel gridò atroce. Venne presa da alcuni soldati, mettendola in salvo da quelle mitragliatrici che sparavano un colpo dietro l'altro senza fermarsi. Fu allora che capì quanto fosse ormai finito quell'amore che avevano tanto custodito. Fu allora che Dalila capì quanto amasse la sua donna, tanto da combattere per difenderla. Non riuscì a respirare per qualche secondo, le lacrime scendevano e scendevano quasi affogandola, abbracciando il suo corpo ancora caldo, e ripercorrere ogni momento che avevano passato insieme.
«My lady Né ora né domani. Finché ci sarà fiducia tra noi, non serve dire quelle parole.»
«Invece no, ti amo, ti amo, ti amo lo dirò all'infinito.»
«No, non piangere Little bell, ascoltami.» le prese il viso tra le mani «No, non piangere Little Bell, ascoltami.» le prese il viso tra le mani
«Custodisci il mio cuore.» - «Hai capito? Custodiscilo.» appoggia delicatamente una chiave, quella chiave. «così quando vorrai ricordarci, potrai aprire il cassetto del mio cuore.» Dalila non fece in tempo di dirle che non riuscirà a dimenticarla e lo poteva dimostrare dalla collana che aveva al collo.  La collana del nonno custodita gelosamente da quel ballo. Si concluse così la sua vita. Le lacrime presero vita, la sua anima era distrutta, come il suo corpo e il suo amore per lei. Gridò un'ultima volta quelle parole prima di crollare, sul suo corpo, stringendolo a sé.
«Ricorda anima mia, la prossima volta non ti innamorare delle persone a cui potresti porta via la vita.»

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