Capitolo 39

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Cammino per l'aeroporto in cerca di un bagno, l'atterraggio non ha avuto complicazioni. Nonostante non avessi nessuno vicino a cui stritolare la mano per l'agitazione (che di solito mi prende sempre durante i decolli e gli atterraggi) me la sono cavata bene.

"Ah eccolo" esclamo tra me e me quando mi accorgo dell'insegna "Toilette".

Faccio pipì, la più lunga in assoluto della mia vita. Penso di aver espulso almeno due litri di liquidi! Mi lavo la faccia, i denti e mi preparo ad uscire dall'aeroporto in cerca un taxi.

Ma che cos'è? Umidità trecento per cento?!!!

A Miami si muore! Che caldo! Ho già i capelli appiccicati alla faccia!

Mi siedo su una panchina vuota, mi tolgo le scarpe e, tanto per cominciare, indosso le infradito poi cerco un elastico nel beauty case e mi faccio uno chignon. Disordinato ad arte, ovviamente!

Salgo su un taxi, dopo mezz'ora di attesa, comunico l'indirizzo al taxista e ci immergiamo nel traffico.

Mi sembra di essere stata a Miami un sacco di volte mentre guardo fuori dal finestrino, ci sono luoghi che ho visto in televisione e sui giornali. Sulla spiaggia ci sono ragazzi con i rollerblade, altri camminano a petto nudo e sono colmi di tatuaggi e donne che mettono il bella mostra i loro corpi, certamente ritoccati, stringendoli in bikini striminziti dai colori appariscenti. "Siamo arrivati" mi dice il

taxista. Gli allungo i soldi della corsa e la mancia, mentre scendo lui recupera il mio trolley dal bagagliaio "Arrivederci" mi saluta con un cenno della testa e parte per un altro viaggio.

Sono in piedi sul marciapiede, tengo in mano la maniglia del trolley e faccio un bel sospiro prima di avvicinarmi alla porta di casa. E' carina, di un giallo ormai sbiadito. E' vicina alla spiaggia. C'è un piccolissimo giardino sul davanti con un cancelletto di legno bianco. La miniveranda è grande poco più di un terrazzino. Apro il cancelletto e mi avvicino alla porta, devo bussare più volte per farmi sentire.

Finalmente aprono.

"Jewel?" chiede un ragazzo con gli occhi assonati. Si massaggia il viso e mi guarda storto. E' a petto nudo e indossa un paio di pantaloni grigi di cotone

"Chi diavolo sei?" gli chiedo, sorpresa che conosca il mio nome

"Sono Gavin"

"Ah! Ciao" gli sorrido, è il migliore amico di Brian. E che amico! E' mulatto, un figo pazzesco!

"Che ci fai qui?"

"Sono venuta per Brian"

"Non c'è" alza le spalle

Figurati! Incrocio le mani sul petto e piego la testa di lato "Non c'è per davvero, o me lo dici solo perché lui mi ha vista dalla finestra e non vuole parlarmi?"

Scoppia a ridere "Mi aveva detto che hai un bel caratterino" scrolla la testa sorridendo "Non c'è davvero, è alla spiaggia a fare surf".

Prende il mio trolley e lo trascina in casa "Vieni, stavo per fare colazione, vuoi qualcosa da mangiare?"

Lo seguo guardandomi intorno "Sono le tre del pomeriggio" gli dico stupita che faccia "colazione" a quest'ora della domenica.

"Si, lo so e tu mi hai svegliato. Sono andato a letto alle otto stamattina" spalanco gli occhi sbigottita mentre mi siedo su uno sgabello. La casa è bella anche dentro, pulita e ordinata.

"Mangi pancake con sciroppo d'acero vero?" mi chiede estraendo una ciotola di ceramica dalla credenza e le uova dal frigo

"Come lo sai?" prendo in mano un uovo e lo rompo a metà

L'ultimo Addio (Michela Compri)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora