Reece aveva appena mandato all'aria il mio tentativo di tornare a casa da sola.
<Cosa facciamo adesso?> gli chiesi.
<Restiamo qui ad aspettare> fece lui.
<Cosa, un miracolo?> ironizzai.
<No genio, stiamo aspettando un mio amico che si è preso la mia moto>
<Hai una moto?>
<Sì>
<La presti?> non sapevo perché gli stessi facendo tutte quelle domande fuori luogo, probabilmente l'alcol mi aveva dato alla testa.
Mai fare dei giochi del cazzo con persone che non conosci.
<Solitamente no, ma questa volta doveva farmi un favore importante> mi spiegò.
<La smetti di fare il misterioso? Non capisco niente quando parli così>
<Non mi importa che tu capisca> disse lui.
Dopo qualche minuto di silenzio imbarazzante fui io la prima a smorzare la tensione che si era creata fra noi.
<Sai, io proprio non capisco> ammisi.
<Ma cosa?>
<Non capisco cosa ci faccio qui>
<Madonna santa, ma proprio a me doveva capitare sta sbandata ubriaca?> sbuffò.
Risposi con una risata aspra e lui mi inchiodò lo sguardo addosso.
<Sono seria, questo posto, credevo di non conoscerlo eppure mi sembra di averlo già vissuto. Com'è possibile che siano accadute tutte queste cose in poco tempo?>
<Ok, adesso sono confuso> scosse il capo.
<Qualche giorno dopo essermi trasferita, sono andata nella mia cantina a posare alcune cose e sono arrivata alla conclusione che la mia nuova casa era quella vecchia di mia madre. Ero curiosa e ho aperto dei cassetti dove ho trovato degli oggetti che mi appartenevano e altri che invece sono certa che appartenessero a lei, c'erano anche delle sue foto e il suo sguardo era...così intenso.
Aveva gli occhi scurissimi e spalancati, ed è stato davvero strano osservare il suo viso dopo tutto il tempo che è passato dall'ultima volta che l'ho vista. In ogni caso mi sono sentita tradita da zia Meredith, perché non si è nemmeno degnata di avvisarmi del fatto che saremo andate ad abitare nella sua vecchia città. Da quel momento in poi ho pensato di non essere più al sicuro qui, non come lo ero in Florida, nella mia vera casa. Non avevo mai confessato a nessuno questa cosa, per certi versi neanche a me stessa> non appena ebbi finito di parlare un brivido di freddo mi percorse le vertebre. Il vestito che indossavo era fin troppo leggero per quelle temperature.
<Wow, in effetti io non sapevo che prima abitasse qui. Non ho notizie di lei da un sacco di tempo, e mio padre non me ne parlava mai, quando stava meglio intendo. Le cose che la riguardavano erano una sorta di tabù>
La sua confessione mi rabbuiò un po', così decisi che era giunto il momento di spiegargli perché, qualche giorno prima, avevo scelto di ignorarlo.
<Reece senti, mi dispiace, lo so che sono stata stronza ma io non ho intenzione di fare nulla.
Non posso fare la paladina della giustizia e mettermi a indagare su mia madre per salvare la tua famiglia come nei film, questa è una situazione più grande di noi e io non me la sento di approfondire gli aspetti della mia vita che ho sempre evitato. Non sono ingenua, e neanche tu lo sei, non importa che siano successe delle cose che riguardavano entrambi e che non ci ricordiamo, perché comunque non potremo fare niente per cancellare il passato. Se deve succedere, verremo comunque mangiati dai nostri mostri, e a questo punto preferisco evitare questo argomento fino a quando non accadrà. Voglio scegliere di vivere il presente, solo per quella fetta di spensieratezza che non mi è stata ancora tolta.
Sarà anche un mio limite, ma se cerchi aiuto da me sappi che non lo avrai>
Quando finii di parlare Reece mi stava guardando in maniera indecifrabile, aveva il ciuffo castano spettinato e gli occhi gli brillavano.
Mi aveva ascoltato attentamente, non si era perso neanche una parola del mio discorso.
Quando ricambiai il suo sguardo si leccò il labbro inferiore ed emise una risatina roca.
<Va bene, non condivido a pieno la tua scelta, ma non ti chiederei mai di fare qualcosa che non vuoi. Io lo so che tu sei molto più di così, ma non spetta a me decidere quando devi affrontare i tuoi problemi. Non sono nessuno per giudicarti>
Apprezzai molto la sua maturità, certo, a volte lo odiavo, ma infondo un po' mi sarebbe piaciuto ricordarmi di quando eravamo bambini.
Ogni volta che quella possibilità si faceva largo nella mia mente mi assaliva un enorme senso di angoscia, era come vedere uno spiraglio di luce dopo aver vissuto un'intera esistenza nell'ombra.
Quando mi capitava di parlare con qualcuno che non conosceva le mie debolezze spesso mi venivano rivolte domande come: "Ma dov'è tua madre?" oppure "Quando avevi sei anni dove abitavi?"
Io non sapevo mai come rispondere e mi ripetevo: "mio Dio, vorrei tanto ricordare tutto, perché non sono a conoscenza di moltissime cose che mi riguardano?"
Mi sentivo terribilmente a disagio, ma, pensandoci, forse è sempre stato meglio così.
Probabilmente se non ricordavo niente ci doveva essere un motivo, e delle volte è meglio ignorare qualcosa se non si ha la certezza di riuscire a superarne le conseguenze.
Se non avessi mai dimenticato nulla, se avessi ricordato tutto, sarei stata sempre la stessa? Avrei visto la vita sempre nello stesso modo?
Non ne avevo idea, e questo mi terrorizzava.
Avevo paura dell'ignoto, quindi preferivo ignorare. Un circolo vizioso in cui mi piaceva crogiolarmi, fino a quando non sarei stata costretta ad agire e riprendere in mano la mia vita.
<Renée> Reece catturò la mia attenzione, risvegliandomi dai miei pensieri.
Si era seduto su un muretto di fronte a me, e stava fissando la strada pensieroso, poi percorse la mia figura esile con lo sguardo.
I suoi occhi scuri si posarono su di me, sottoponendomi ad una radiografia attenta che mi mise a disagio. Partirono dalle caviglie magre fino a salire verso le cosce che si arrotondavano sotto il tessuto leggero della gonna, passarono per la lieve scollatura dell'abito ma si spostarono subito, trasparendo un lieve imbarazzo. Infine si fermarono sulle spalle coperte dal giubbotto corto in pelle.
<Credo che tu abbia freddo vestita così, se vuoi posso darti la mia felpa> fece per togliersi l'indumento di dosso ma io lo bloccai.
<Oh, no, non c'è bisogno. Sto bene, grazie>
<Ma se stai tremando di freddo, dai, tieni> si sfilò la giacca dalle spalle larghe e me la porse gentilmente. Io annuii in un tacito grazie, poi la indossai, attenta a non dimostrare quanto quel gesto mi avesse fatto piacere, solo per puro orgoglio.
<Tu hai detto che Dorothy viveva qui, e se non ci avesse portati lontano da questa zona? Se io fossi stato rapito sotto gli occhi di tutti e nessuno se ne fosse accorto?> dopo qualche secondo di silenzio decise riprese il discorso precedente, io sospirai.
<Non lo so, può essere> mi sentivo molto in imbarazzo a parlare di quell'argomento, perché capivo quanto lo ferisse, tanto quanto feriva me. Quel pensiero mi provocò un senso di amaro in bocca che mi fece venire voglia di rassicurarlo.
Quasi mi sentivo in colpa ad aver tirato fuori il discorso per prima, forse avrei fatto un favore a tutti se avessi deciso di tacere.
<Sei molto carina stasera, comunque> mi disse, e mi si alzò un angolo delle labbra.
<Perché, gli altri giorni non lo sono?> lo sfidai ridacchiando appena.
<Lo sei, e scommetto che eri anche una bambina bellissima> non potevo crederci, aveva pensato la stessa cosa che avevo pensato io.
<Complimenti, sei perspicace> lo punzecchiai
ancora.
<E tu sei particolarmente sicura di te, vedo> ribatté.
<Mi fa piacere che tu l'abbia notato> risposi e lui mi rifilò un sorriso sincero.
Dovevo ammetterlo, aveva davvero un sorriso bellissimo. Uno di quelli che non ti dimentichi così facilmente.
<Ehi, per la cronaca, potresti dire alla tua amica, quella mora, alta, rompipalle, sì quella che parla solo...Olga? Mh, no...Olanda?>
<Olive, si chiama Olive, Reece. Dai che ce la puoi fare> lo incitai ironicamente, ma lui non parve farci troppo caso.
<Sì, insomma quella, chiedile se per caso può chiudere un po' il becco. E già che ci sei anche se potrebbe evitare di arrivare ad una festa già ubriaca fradicia. Adesso tutti credono che io ti abbia portata a casa mia> alzò gli occhi al cielo.
<Beh, tecnicamente è quello che hai fatto> osservai.
<Sì, certo, ma non nel senso che credono loro>
<Ok, hai ragione, sono d'accordo. Olive mi sta aiutando, ma cazzo se parla. Dovrebbe tapparsi un po' la bocca, l'avevo scongiurata di mantenere il segreto>
<Cioè, scusa se chiedo, ma come la sopporti? Ho parlato a telefono con lei solo cinque minuti, quella volta che sei finita in ospedale.
Mai l'avessi fatto, sembrava un'esaurita, si capiva solo lei>
<Sinceramente non lo so. Infondo è una buona amica, almeno credo. Sa dare ottimi consigli> cercai di risultare il più convincente possibile ma non ci riuscii proprio, infatti mi scappò un gridolino divertito.
Reece scoppiò a ridere e io con lui, vittima della sua risata contagiosa.
<Forse dovremo smettere di parlare solo di cose tristissime e litigare tutto il tempo, non credi?> mi chiese.
<Forse, o forse no> dissi io, ancora con le lacrime agli occhi. Non osavo immaginare in che condizioni fosse il mio make up in quel momento.
<Oh, eccolo, finalmente!> non capivo di cosa stesse parlando e, confusa, mi voltai nella sua direzione.
Vidi una moto scura che stava sfrecciando sulla strada, in sella c'era un ragazzo vestito sportivo, aveva un casco dello stesso nero vernice del veicolo che gli lasciava scoperta solo una parte della faccia. Nonostante fosse relativamente distante da noi riuscii a scorgere sul suo viso dei motivi d'inchiostro neri.
Aveva un tatuaggio davvero molto grande a ricoprirgli tutto il lato sinistro del volto, una caratteristica un po' troppo appariscente per i miei gusti.
Insomma, non si presentava certo come una persona molto rassicurante, specie a quell'ora della notte.
<Ciao, Thomas> Reece si mise di fianco a me e salutò il suo compagno stava parcheggiando davanti a noi.
<Ehi amico, e chi è questa bellezza?> mi rivolse un'occhiata languida e fui attraversata da un conato di vomito.
Ma dove diamine ero finita?
<Giù le mani da lei, cazzone>
Solo in quel momento mi soffermai meglio su quel tipo, era molto alto e un po' robusto, però Reece torreggiava su di lui senza problemi.
Gli diede uno schiaffo forte sulla nuca ma al ragazzo non parve importare più di tanto, sembrava quasi lo facessero per gioco.
Probabilmente se qualcuno mi avesse schiaffeggiata in quel modo mi sarei spezzata l'osso del collo.
Non per farla tragica eh, ma i loro modi erano molto discutibili.
<Gli hai portato le cose che ti ho dato, vero?> chiese il mio compagno di sventure.
<Ma cosa?> fece l'altro.
<Le medicine, cosa sennò? Thomas, questa è la volta buona che ti spacco la faccia>
<Oh sì, certo, ovviamente>
<Sarà meglio, altrimenti vedrai> Reece affilò lo sguardo.
<In che senso?>
<Hai capito perfettamente il senso di cui parlo, ci vediamo domani> lo salutò.
<A domani> rispose l'altro, poi emise un singulto e andò via.
E mentre lo guardavo andare via qualcosa di freddo e metallico mi toccò la mano.
Mi ritrassi di scatto e poi mi accorsi di Reece che mi stava porgendo il suo casco verniciato.
Lo presi senza esitare e lo infilai, nel frattempo lui ne recuperò un altro dalla moto e mi imitò.
<Dov'è che abita quella stramba di Olive?> mi chiese.
<Ti sei già dimenticato? Puoi portarmi al bar dell'ultima volt->
<No, non mi sono dimenticato. Ma non ho intenzione di lasciarti al bar da sola, sono le due di notte. Comincia a salire, poi mi indichi la strada mentre passiamo per quella via>
<Ok> mi limitai a rispondere, nel frattempo lui saltò sulla moto e mi fece cenno di seguirlo.
Deglutii e mi sedetti sulla sella, accanto a lui.
Mi sentivo molto in imbarazzo perché sapevo che, se non mi fossi aggrappata a lui, sarei caduta.
Tuttavia l'idea di farlo non mi entusiasmava, il contatto fisico mi aveva sempre messa in imbarazzo.
Era una difficoltà che avevo sin da bambina, mi capitava raramente di ricevere abbracci e, quando li davo, mi sentivo strana.
Non che non mi piacessero, ma mi facevano sentire in difficoltà.
<Renée, tieniti forte> mi suggerì Reece.
Io, titubante, lo ascoltai.
Portai le mani sui suoi fianchi, le mie dita aderirono al suo addome e strinsi leggermente la presa.
Lui emise un mugolio sommesso e premette sull'acceleratore, la moto sfrecciò sulla strada imboccando una traversa sulla destra.
Per quanto mi riguardava avrebbe potuto tranquillamente rapirmi, questo perché non avevo idea del percorso che avremo fatto: la geografia non era certo il mio forte, e quelle strade non mi erano ancora abbastanza familiari per potermi orientare.
<Reece, potresti andare un po' più piano?> chiesi d'un tratto. Andava fin troppo veloce per i miei gusti ed era anche un pessimo guidatore, da quando eravamo partiti non aveva mancato neanche una fossa.
<No> rispose, e io sgranai gli occhi confusa quanto irritata dal suo atteggiamento menefreghista.
<Come sarebbe a dire no?> lo rimbeccai.
<Non ne ho voglia e si da il caso che sia tu la svitata alla quale sto dando un passaggio sulla mia moto, quindi, semplicemente, no.>
<Andiamo Ree-> non mi lasciò neanche finire di parlare che accelerò ancora di più, una folata di vento gelido mi colpì in viso e il mio stomaco andò in subbuglio.
Ancora una volta mi maledissi per aver ingerito tutto quell'alcol quella sera, grazie a Dio ero una reggeva molto bene, altrimenti non avrei idea di come avrei fatto a tornare viva a casa di Olive.
<Sei proprio uno stronzo> esalai, e anche se non potevo vedere la sua espressione ero certa che stesse sbuffando alla mia provocazione.
Davvero, quando eravamo tornati ad essere così? Fino a poco prima sembrava avessimo instaurato una sottospecie di intesa, o magari solo una piccola vicinanza emotiva, e adesso invece? Eravamo tornati punto e da capo, del resto non che mi aspettassi granché da lui, succedeva sempre così fra noi due.
In ogni caso, dopo un viaggio più lungo di quanto mi aspettassi, Reece arrivò davanti al bar dove ci eravamo incontrati la scorsa volta e si fermò.
<Aspettami mi qui, torno subito> mi raccomandò, e si diresse verso l'entrata del locale.
Qualche minuto più tardi lo vidi varcare l'uscita con in mano un pacchetto di sigarette, se lo infilò velocemente nei pantaloni e poi si diresse verso di me accompagnando le gambe longilinee in un paio di falcate eleganti.
Tornato alla guida mi chiese dove avrebbe dovuto accompagnarmi e io, che ce l'avevo ancora con lui, gli spiegai la strada cercando di utilizzare il tono più freddo che mi riuscisse.
Quando scorsi il viale che portava a casa di Olive tirai un sospiro di sollievo, eravamo finalmente arrivati, non pensavo che avrei potuto reggere un minuto di più su quella motocicletta dal proprietario spericolato.
Probabilmente di lì a poco mi sarei ritrovata con la testa piegata sul water a vomitare, tutto questo per colpa di quel rincitrullito arrogante.
E quando dico arrogante, dico arrogante per davvero, perché, come se nulla fosse successo, non si degnò neanche di salutarmi quando mi scaricò sul marciapiede vicino al cancello. Neanche fossi una prostituta. Di bene in meglio, direi.
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I colori non esistono
General FictionRenée è una ragazza da un carattere particolare. Il suo passato l'ha resa spigolosa e riservata ma anche molto più forte e intuitiva. Dopo essersi trasferita in un nuovo stato con la sua zia parrucchiera, l'unica cosa che vorrebbe è essere felice e...