Reece

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<Reece, va a prendere gli archivi in segreteria> era appena finito il suo ridicolo corso di scrittura e continuava ad assillarmi dandomi ordini. Quel giorno era più eloquente del solito, in genere non parlavamo così tanto.
A dirla tutta avrei preferito che non mi parlasse affatto.
Proprio come aveva sempre fatto, sin da quando ero un bambino.
<Reece?> mi richiamò lei.
<Vado> sbuffai.
Mi alzai in piedi scocciato, mi stiracchiai e arrivai alla porta.
Il mio corpo percorse meccanicamente gli ampi corridoi, ma i miei pensieri erano altrove.
Avrei tanto voluto essere lontano da quella città, da quella scuola e soprattutto da mia madre.
Ero vicino all'entrata quando scorsi una figura affacciata alle finestre dell'istituto.
E... oh mio Dio, era davvero lei?
Delle rughe d'espressione incorniciavano i suoi lineamenti fieri, gli occhi neri come la pece luccicarono non appena mi videro.
A distanza di un decennio era cambiata ben poco, eccetto per i segni dell'invecchiamento che cominciavano a farsi notare.
Deglutii e provavi a convincere me stesso che mi fossi solo confuso. Non poteva essere lei.
Era solo qualcuno che le assomigliava, giusto?
Volevo tanto che fosse solo un allucinazione, ma non appena la donna mi sorrise capii che non mi stavo sbagliando.
In quell'istante tutti i ricordi che avevo insabbiato per anni riaffiorarono nella mia mente.
Mi voltai e aumentai il passo, senza più pensare agli stupidi archivi che servivano a mia madre.
Stavo cercando la ragazza con la quale avevo discusso l'ora precedente, credevo di aver capito perché il suo volto mi risultasse familiare. Io già la conoscevo, solo non con il suo primo nome. Come avevo fatto a non ricordarmelo prima?
Setacciai sette classi e i bagni femminili.
Mi beccai anche una ramanzina da una prof perché avevo interrotto la sua lezione.
In più una primina dal colorito scuro e gli occhi della forma di una nocciolina mi aveva dato del pervertito. Come biasimarla, l'avevo colta in flagrante a baciare una sua compagna nel bagno.
In ogni caso qualche attimo più tardi, finalmente, la trovai.
Era lei, per tutto questo tempo, e io non me ne ero accorto solo perché stavo cercando di dimenticare qualcosa di molto brutto. Mi vergognai di me stesso perché ero stato un codardo.
La trovai in biblioteca, stringeva due libri fra le mani.
<Devi venire con me>
Lei sembrò accorgersi di me solo in quel momento, così sgranò gli occhioni chiari.
<Lei è qui. Tua madre è qui, Margot> farneticai.
Le sue pupille si dilatarono e continuò a fissarmi con aria confusa.
Non ero sicuro che mi avrebbe creduto ma lo speravo perché non avevo il coraggio di spiegarle tutto in quel momento.
<Va bene> disse infine. Possibile che si ricordasse ancora di me?

I colori non esistono Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora