Dorothy

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<Richard, vai dagli altri, qui ci penso io> entrai nella cassa a passo svelto.
<Sicura? Io stavo cominciando-> a quel ragazzo non piaceva interrompere il proprio lavoro, tuttavia in quel posto ero io a comandare.
<Sicurissima, vai> lo incalzai.
<Bene, a dopo> ingoiò un groppo di saliva per poi sparire dietro di me.
Arrivai subito alla porta che stavo bramando, quella che mi separava dal nuovo arrivato, infine la aprii. Un brivido mi percorse la schiena quando lo vidi.
Sapevo appartenesse ad una famiglia benestante ma i suoi vestiti erano tutti stracciati, evidentemente il viaggio che aveva affrontato aveva avuto delle complicanze.
Mi guardava di sottecchi, era visibilmente stordito e aveva gli occhietti impauriti.
<Hey piccolo> lo chiamai.
Non ricevetti risposta così decisi di avvicinarmi, ma non appena feci per toccargli la guancia lui si scostò di scatto.
<Cosa c'è, hai paura di me?>
Ancora nulla.
Il ciuffetto castano gli ricopriva gran parte della fronte, era di un marrone scurissimo, lo stesso degli occhi grandi.
Aveva il viso pallido ed era anche molto infreddolito, quasi mi inteneriva.
D'improvviso fui attraversata da un lampo, guardai l'interruttore e mi girai verso il piccolo per rivolgergli un sorrisetto divertito.
<Del buio?> la mia domanda fu un sussurro.
<Cosa?> finalmente sentivo la sua vocina, era aspra e lasciava trapelare tutta la sua diffidenza.
<Hai paura del buio?> riformulai.
<No> disse, ma non sembrava affatto convinto.
Io, dal mio canto, decisi di reggergli il gioco.
<Oh sei molto coraggioso, tuttavia penso che dovresti averne almeno un po'>
<Non credo> stavolta cercò di essere più sicuro.
Mi scappò di bocca un gridolino esaltato che gli fece venire la pelle d'oca, avrei scommesso che mi credesse pazza.
Mi precipitai all'interruttore e spensi la luce, poi, nel buio, avanzai verso di lui.
<Come ti chiami?> chiesi.
<Io-> lo bloccai prima che potesse dirmelo.
<Anzi no, non voglio saperlo. Io so bene come ti chiami>
<E come mi chiamo allora?> il suo tono vacillava, ma nonostante ciò aveva il coraggio di continuare a sfidarmi.
La maggior parte dei ragazzi si piegava a me quando li spaventavo, lui però non sembrava essere del loro avviso.
Nonostante fosse sul punto di farsela addosso era così indisponente nei miei confronti.
Mi piaceva, e anche molto.
<Dean, Dean è perfetto> osservai.
<Bugiarda, io non mi chiamo mica così> si stizzì lui.
<Invece sì> ero io a deciderlo ma al mio ospite non pareva garbare niente di quello che facessi.
<No> non si rassegnò.
Un passo dopo l'altro avevo preso tutto ciò che mi occorreva ed ero abbastanza vicina al suo corpicino fragile.
Strofinai le dita e armai la mano destra dell'ago che avevo in tasca.
<Sì> conclusi penetrando il suo braccio con la mia nuova puntura, non gli avrei fatto del male.
Era per il suo bene, ma lo era anche per il mio.
Era giusto che mi aiutasse e presto avrebbe capito perché lo stava facendo, come tutti gli altri piccoli.
<Te lo chiederò ancora una volta, Dean> feci una pausa e poi ripresi. <Adesso hai paura del buio?>
<Sì> esalò, poi capitolò su se stesso e un tonfo echeggiò nella stanza.
<Bene> fu l'ultima cosa che dissi.
Non ero cattiva, no che non lo ero.
Era la cosa giusta, era necessario.
Lo giuro, era la cosa giusta.
      Dorothy, 14 febbraio, 2010,Ore 18:30
                                                     San Valentino

I colori non esistono Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora