Olive

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Mi ero appena resa conto del perché, nonostante passassimo moltissimo tempo insieme, io non riuscivo ancora a definire Renée come un'amica.
Quella notte avevo avuto un incubo e mi ero svegliata di soprassalto verso le quattro e trenta del mattino, così l'avevo trovata avvinghiata a me, stretta nel mio lettino, con le dita vellutate ad accarezzarmi la base della schiena.
Avevo provato un innato senso di tranquillità nel vederla dormine in quel modo, così vicina a me e vulnerabile. Come se, normalmente, il fatto di saperla vigile in mia presenza mi agitasse un po'.
La osservai meglio: le sopracciglia folte erano aggrottate mentre le labbra carnose si modellavano in una sorta di broncio intristito, che incupì anche me. Probabilmente non era particolarmente felice quando aveva preso sonno, magari aveva avuto pensieri negativi in quelle ore, oppure stava sognando qualcosa di brutto, proprio come era accaduto a me. Non ne avevo idea, tuttavia, prima di riaddormentarmi, mi concessi ancora qualche minuto per godere dell'attimo di vicinanza che stavamo avendo.
La sua figura era illuminata appena dalle tapparelle semiaperte, dalle quali trapelava la luce soffusa della luna e dei lampioni stradali, e che attribuiva a quel contesto una nota ancora più cupa.
Che fosse la notte a stimolare pensieri assurdi, o che fossi io ad essere troppo strana non potevo saperlo, tuttavia mi ritrovai a pensare al rapporto che avevamo noi due, e a come ci comportassimo l'una in presenza dell'altra.
Non sapevo cosa provasse lei, quando era con me, però io sentivo di temerla, infondo.
Mi comportavo da spavalda, o da mamma saccente, solo perché conoscevo il nostro ambiente scolastico meglio di lei, ma in realtà percepivo qualcosa di rotto e sbagliato nei suoi comportamenti, ma che mi attraeva da morire.
Non sapevo granché della sua situazione familiare, ma avevo capito che era dura, forse anche più di quella di Reece Turner, il ragazzo più stronzo e tenebroso di tutta la città.
Non a caso i due, anche se avevo notato non si sopportassero molto, si erano avvicinati più di una volta in quei giorni. E io non ero così stupida da non notarlo.
Sentivo che avevano un vuoto simile dentro, una rabbia repressa, e tanta tanta sofferenza, che minacciava di sfociare in una sfumatura pericolosa dei loro rispettivi caratteri.
Nonché fossi chissà quanto esperta a riguardo, le mie erano solo delle considerazioni personali, però una volta avevo conosciuto una persona che aveva la stessa fame distruttiva che avevano loro nel cuore.
Una fame che prende, prende e non si sazia mai, che ti perseguita anche negli incubi e ti costringe a non mangiare, perché quello che risparmi devi cederlo a lui.
Lui che finge che gli importi di te, ma che quando se ne va non lascia niente, ne della tua anima ne del tuo corpo.
Feci un lungo respiro e mi riconcentrai su Renée, e di come non sapevo gestire le sue dita che mi bruciavano addosso e la costante paura che potesse decidere di uccidermi quando voleva, perché aveva il fuoco dentro e io lo sentivo. Mi stavo affezionando particolarmente a lei, e questa sarebbe dovuta essere una cosa positiva, ma io mi sentivo tremendamente sbagliata per quello che stava mi accadendo.
Perché volevo starle accanto, ma senza esserle vicina, volevo che si confidasse con me e viceversa, ma senza semplice compassione di mezzo. Volevo abbracciarla da lontano e volevo che lei mi concedesse solo un tocco di sé, che mi avrebbe infiammato le viscere e avrebbe alimentato la fiamma che mi legava malsanamente a lei. Desideravo una tensione fra noi che crescesse gradualmente, donandomi sempre qualcosa di più profondo e lacerante di volta in volta, proprio come accadeva nelle mie fantasie, ma che poi alla fine mi avrebbe bruciata viva.
E io lo avrei accettato.
Credevo di essermi innamorata di Renée, di un'altra donna, e non mi era mai capitato prima. Di essere attratta da una ragazza, intendo.
Sovrastata dalle forti emozioni che quella constatazione mi aveva provocato, finalmente, il sonno mi travolse di nuovo.
Stavo scoprendo una nuova versione di me che mi spaventava, ma sapevo che per accettarmi avrei dovuto prima imparare a capire meglio me stessa, ed era quello che avrei fatto.

Il giorno seguente, quando mi svegliai, Renée non era più con me. La porta era aperta, così come le finestre, e adesso il sole illuminava la mia stanzetta in tutta la sua energia, con la prepotenza di chi aveva l'intenzione di buttarmi giù dal letto.
Nell'aria alleggiava il forte odore del profumo della mia compagna di quella notte, che sapeva di lampone frizzante e ribes nero. Una fragranza che rispecchiava tutta la sua forza e la sua intensità emotiva, e che celava le parti più oscure di lei nelle sfumature audaci delle miscele di bacche.
Mi rigirai nel letto un paio di volte, fino a quando il calore di quella bella giornata non mi invogliò ad alzarmi. Ancora frastornata mi sedetti sul materasso e mi abbandonai ad un sonoro sbadiglio, poi i miei occhi catturarono lo schermo del mio cellulare sul comodino, che segnava le ore 9:55 del mattino.
Avevo dormito un bel po', ma era plausibile, data la serata trascorsa il giorno prima. Solo pensarci mi provocava un forte mal di testa, non ricordavo quasi nulla, tranne Renée che mi era vicina e che mi toccava. Per il resto nient'altro.
Decisi che quella mattina sarei andata a fare una passeggiata a piedi, avevo bisogno di schiarire le idee, così mi preparai e avvisai mia madre, poi uscii di casa.
Indossavo un leggings scuro e attillato, che aderiva perfettamente alle mie forme e che si allargava a partire dai polpacci, fino a coprire quasi totalmente le scarpe, delle quali si intravedeva appena la punta. Il modello a zampa risultava già abbastanza largo di suo, senza contare il fatto che l'avessi acquistato di una taglia in più della mia. La felpa che indossavo era over, e sotto la lunga cerniera avevo infilato un top sportivo grigio, casomai avessi avuto caldo.
Varcata la porta di casa, mi beai del calore del sole che mi accarezzava la pelle, e inspirai profondamente. Solo qualche giorno prima avevo visto un video su Instagram che consigliava fortemente di indossare la crema solare ogni giorno, il che era una mia abitudine già da tempo, ma erano giorni che dimenticavo di farlo. Quella mattina però l'avevo messa, già prima di iniziare la mia skin care routine.
Certo, molti potrebbero dire che ero fissata e che facevo pensieri stupidi, però il segreto della donna più bella del mondo era proprio quello di applicare sempre la crema solare, quindi quella non era una cosa stupida!
D'un tratto, mentre attraversavo la strada, per poco una macchina non mi prese in pieno.
Ok, forse ero davvero fissata, e dovevo smetterla di pensare alla mia pelle in una domenica bella come quella, anche perché avrei preferito non rimetterci le penne proprio in quel momento. Sarebbe stata una morte davvero triste, quasi penosa.
In ogni caso decisi di non seguire il mio solito percorso, quindi mi diressi verso una stradina che mi portò a un viale poco abitato in quella zona, e fu proprio in quel momento che mi ricordai che da quelle parti doveva esserci una pista ciclabile in cui spesso mia mamma mi portava da piccola, anche se forse ormai era abbandonata. Mi girai un po' in torno, e finalmente riconobbi i contorni rossastri del pavimento della pista insieme alle ringhiere arrugginite di colore verde petrolio.
Sapevo che quella struttura fosse molto grande e che quindi l'ingresso non si trovasse in quella particolare zona della città, eppure ricordavo anche... eccolo! Esultante indicai con l'indice l'entrata che usavamo io e mia mamma quando andavamo a fare jogging. Praticamente parte della recinzione era stata danneggiata anni prima, proprio nel punto che stavo fissando, e spesso era utilizzata dai passanti come una sorta di ingresso secondario.
Scavalcai il muretto che mi separava dalla pista con un salto, poi passai alla recinzione e infine mi ritrovai con i piedi sul pavimento rosso con le righe bianche, un po' rovinato e scheggiato qua e là. Subito mi scappò un sorriso, avevo bei ricordi di quel posto, e in generale amavo tutto ciò che mi faceva pensare alla mia infanzia.
Sfilai dalla tasca le mie cuffie bluetooth e le misi alle orecchie, così cominciai a camminare sulle note di una canzone che stavo ascoltando molto in quel periodo, ovvero Trampoline degli SHAED.
Passò più di una mezz'ora, io non avevo ancora terminato il percorso e francamente non ero neanche convinta di essere arrivata alla metà. Scoraggiata com'ero sospirai sommessamente e decisi di fermarmi un attimo, sedendomi in un angolo per terra. Dopodiché, sfilai lo zainetto che avevo dietro le spalle per prendere la mia borraccia rosa, dalla quale bevetti qualche sorso abbondante pur cercando di non esagerare.
D'improvviso qualcosa di strano catturò la mia attenzione, si trattò di un piccolissimo scintillio, così fulmineo che non riuscii ad accettarmi da che cosa fosse stato provocato.
Al centro della pista c'era una valle immensa, che divideva i vari percorsi, e in cui regnava la natura. Ricordavo bene che una volta, quando avevo quattordici anni, avevo visto una volpe passeggiare fra le erbacce dove mi era parso di vedere quel piccolo bagliore, così, per assicurarmi di non essere pazza, mi feci coraggio e mi avvicinai.
Quello che notai subito dopo mi fece sbiancare, provocandomi un brivido di terrore lungo la colonna vertebrale: mi resi conto che ciò che avevo visto era un'accendino, e a quel punto ero sicura di non essermelo immaginata.
C'era una donna sulla quarantina che lo reggeva fra le mani raggrinzite, con le unghie a mandorla dipinte di un forte colore vinaccia. A guardarla meglio, non sembrava essere più grande di mia madre, anzi, pareva essere parecchio più giovane. Eppure aveva un aura strana, mi sembrava quasi... consumata, come se non contassero gli anni che aveva vissuto, ma forse più l'intensità con cui li aveva affrontati. Era visibilmente poco curata, e i suoi vestiti erano parecchio trasandati, ma quando mi soffermai sui suoi occhi mi sentii catturata dalla pesantezza del suo sguardo. Grandi e scuri come la pece, erano allungati elegantemente con una linea doppia di eye-liner nero, con un taglio da gatta penetrante.
Avevo ipotizzato stesse bruciando qualcosa che aveva in mano, forse una foglia o un rametto strappato da qualche arbusto nei dintorni, tuttavia non ebbi il tempo di pormi altre domande e mi affrettai a riprendere le mie cose e a continuare il mio percorso con passo accelerato. Quando fui certa di averla seminata, espirai l'aria che avevo trattenuto nei polmoni e, ancora sopraffatta dall'angoscia, imboccai di nuovo la via di casa. Ero abbastanza scossa da ciò che avevo visto e preferivo di gran lunga andare ad aiutare mia mamma con il pranzo, piuttosto che continuare a girovagare per la mia città.

I colori non esistono Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora