Renée

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Erano passate alcune settimane dall'inizio delle prove con le ragazze, e quel giorno avrei dovuto partecipare ai giochi con le mie nuove amiche, ma solo dopo aver passato il test di matematica. In quel momento avrei dovuto essere in ansia per il secondo, eppure, mi preoccupava molto di più il primo; non sopportavo affatto l'idea di ballare in mezzo a tutta quella gente, e maledissi Olive per avermelo chiesto sin dal principio.
O forse le uniche che avrei dovuto maledire erano me stessa, che avevo accettato come una cretina, e soprattutto la mia stupida ansia sociale.
Mentre posavo le mie cose nell'armadietto mi arrivò una notifica da whatsapp, così sbloccai il cellulare e cliccai sopra l'icona dell'applicazione, per poi ritrovarmi di fronte alla chat di zia Meredith.
"Quando torni a casa? Sei via da troppo tempo e questo non va bene... vuoi deciderti?"
Leggere il suo messaggio mi fece sorridere, nonostante il suo modo burbero di esprimermi il suo affetto, sapevo di mancarle parecchio.
Ogni tanto, quando mi capitava di restare a casa di papà per un paio di giorni, o anche solo per una notte, al mio ritorno a casa era più dolce con me. Se le chiedevo se le ero mancata, però, mi rispondeva sempre di no.
Era fatta così e ormai lo avevo accettato, ma sapevo quanto mi volesse bene, perché me lo dimostrava con i fatti e non con le parole.
Proprio la scorsa domenica mi ero svegliata prima di Olive e mi ero diretta a casa mia, avevo visto mia zia dalla finestra mentre sbrigava le faccende domestiche, ma non avevo avuto il coraggio di entrare.
Alla fine mi ero guardata in torno e, semplicemente, mi ero diretta di nuovo verso casa di Olive, dove Elize mi aveva accolta con un bell'hamburger.
Forse avrei dovuto fermarmi da lei, anche perché mia madre non si era più fatta viva in tutto quel tempo, né era accaduto niente di strano. Forse stavo facendo preoccupare mia zia per nulla, e mi sentivo molto in colpa per questo.
La campanella squillò, ricordandomi che era ora di andare ad affrontare il test. Incrociai le dita perché andasse bene, almeno quello.

Finite le ore scolastiche dovevo andare in mensa, così misi apposto lo zaino con la delicatezza di un'ippopotamo e uscii dalla classe.
<Ehi Ren! Sei pronta?> una voce stridula mi chiamò, così mi voltai.
<Ehi Zara, credo di essere pronta, per quel che vale> le risposi.
<Ahahah, il tuo ottimismo mi spezza> mi sorrise sorniona e io mi morsi il labbro inferiore, poi continuò <Senti, che ti volevo dire... ah sì, ma dimmi un po', non mi avevi mai detto di conoscere Reece Turner così bene, nel senso moolto bene, possibile che tu non mi abbia mai raccontato?>
A quella domanda alzai gli occhi al cielo pensando qualcosa del tipo: "non ci credo, me lo ha chiesto davvero?"
Incurvai leggermente l'angolo della bocca con un'espressione divertita e risposi <Hai proprio ragione, possibile che non mi sia mai capitato di raccontarti delle mie notti d'amore con quel figone di Reece?>
Cogliendo la nota di asprezza nel mio tono la mia amica deglutì, passandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
<Andiamo Ren, stavo solo scherzando>
<Mi fa piacere che il tuo senso dell'umorismo sia così spiccato, peccato che il mio non sia all'altezza del tuo. Comunque non c'è mai stato niente fra me e lui e, ti prego, lo dico anche a te, non mettere strane voci in giro. L'ultima cosa che voglio è essere classificata come la sua nuova puttanella>
<Ok, devo aver frainteso. Mi dispiace, ma ancora non ho capito come mai tutto quell'astio fra di voi>
<Faresti meglio a non interessarti di faccende che non ti riguardano, piuttosto, se ti dispiace davvero, pensa a tenere la bocca chiusa>
<Ok, ok. Non credevo che fosse così importante quella specie di litigata>
Cosa si aspettava? Un litigio di una coppietta delle scuole superiori? Tipo che fossi arrabbiata con lui perché non mi aveva comprato l'orsetto di peluche che gli avevo chiesto? Assurdo. Non ero mai stata quel tipo di ragazza, e non vedevo come qualcuno potesse scambiarmi per tale, né tantomeno avevo mai avuto relazioni del genere. Sempre se così si possono definire.
<A quanto pare> assottigliai le labbra e cominciai a fare la fila per la mensa.
Il cibo era sempre orribile, ma mi accontentai di quello che riuscii a racimolare in base ai miei gusti, che dovevo ammettere fossero piuttosto difficili.
C'era anche Olive in mensa, stava parlando con le gemelle e, dopo aver preso il suo pranzo, anche Zara si unì al loro tavolo.
Io preferii non andare da loro, infatti decisi di sedermi in un tavolo per conto mio, da sola.
Marika mi fece segno di raggiungerle ma io scossi il capo, mi guardavano stranite, come se non si spiegassero come mai volessi stare sola per un giorno. La verità era che in quel momento non avevo voglia di sedermi al loro tavolo perché la discussione con Zara mi aveva ricordato lo scorso sabato, e semplicemente non avevo voglia di riprendere l'argomento anche con le altre.
Stare soli, anche se solo ogni tanto, era visto da tutti come una cosa negativa, perché per le pecore da gregge era sinonimo di smarrimento, dato che loro da sole non sapevano stare.
E non ce l'avevo in particolare con le ragazze perché, nonostante non le conoscessi ancora bene, mi faceva piacere passarci del tempo insieme ogni tanto. Il problema erano le persone in generale, soprattutto quelle che rientravano nella mia fascia di età, che insicure com'erano facevano di tutto pur di entrare in un gruppo e sentirsi parte di una categoria.
La cosa che mi dava più fastidio era che insieme quelle stesse persone si sentivano disposte a fare di tutto per piacere, anche le peggiori cattiverie, ma non lavoravano sul costruirsi una forza individuale e una maggiore autostima.
In pratica si facevano mettere l'etichetta per poi andare al macello, perché, almeno per me,  non essere indipendente era una grande vergogna. Era come non avere un'identità, che è quasi peggio del macello.
Comunque alla fine non mangiai sola per tutto il tempo, perché un ragazzo e una ragazza si sedettero vicino a me.
<Ciao> mi disse lei, mentre il suo amico, o fidanzato, si sedette a capotavola.
<Ciao> risposi, ma poi non parlammo più. In effetti fu meglio così, sembravano tipi piuttosto strani quei due.
Finita l'ora di pranzo avevo un po' di tempo prima dell'inizio della manifestazione, all'incirca una mezz'oretta, che sfruttai per andare al bagno e per giocare un po' ai video giochi sul cellulare negli ultimi dieci minuti che rimanevano.
Quando suonò la campanella capii che era l'ora di andare, così chiusi il telefono, malgrado fossi nel bel mezzo di una partita, e mi alzai dalla panca sulla quale ero seduta per dirigermi verso la palestra.
Se stranamente mi sentivo calma fino a poco prima, nel momento in cui oltrepassai l'ingresso fui travolta da un'ondata di ansia.
Una parola: gente, c'era tantissima gente. E per quanto mi aspettassi che ce ne fosse, era comunque troppa per i miei gusti.
A sinistra, sulla parete, c'erano una marea di dipinti, poesie e rappresentazioni artistiche di ogni tipo. Attorno a quell'angolo pieno di colori sgargianti gironzolavano professori e alunni curiosi, che si fermavano davanti all'autore dell'opera che li aveva incuriositi per fargli delle domande. Verso destra, invece, c'erano le ballerine, sia le mie amiche sia quelle che rappresentavano le altre due scuole che avevano aderito a progetto. In generale la sala era piena di studenti che avevano proposto iniziative di ogni tipo di cui io non sapevo neanche l'esistenza, ad esempio c'era il gruppo degli scout che vendeva torte, muffin e biscotti, oppure c'era un ragazzo di nome Jonatan, che avevo sentito stesse studiando ad una scuola di trucchi di magia, che si esibiva con delle offerte. Tutto il ricavato sarebbe andato in beneficenza, ed era davvero bellissimo che molti si fossero attivati così tanto per solidarietà delle donne malate.
D'un tratto, la canzone di Ozuna che era in riproduzione si spense, le luci della palestra divennero soffuse e tutti si voltarono verso l'entrata.
Si innalzò un lieve brusio fra la folla che non capiva cosa stesse accadendo, io indietreggiai di un passo e cercai le mie compagne con lo sguardo di chi se la stava facendo addosso. Dopotutto, con mia madre a piede libero, mi aspettavo ogni cosa.
Poi dalle casse partì un suono di suspense, come se si stesse preannunciando l'arrivo di qualcuno, e infine nell'aria esplose l'ululato di "Animals" dei Maroon 5, così ebbi la conferma che si trattasse solo di un colpo di scena e mi tranquillizzai.
Dall'ingresso entrarono tantissimi ragazzi, tutti altissimi e pieni di muscoli, uno più affascinante dell'altro, con delle divise bianche e con le rifiniture e il numero di giocatore di un rosso bordeaux sul petto e dietro la schiena.
Tutti cominciarono ad applaudire, mentre le ragazze presenti emettevano dei gridolini estasiati e cercavano in tutti modi di attirare le attenzioni dei ragazzi della squadra di football.
E, per ironia della sorte, mentre pensavo a quanto alcune di loro fossero ridicole, un soggetto della squadra attirò la mia attenzione.
Reece era stato proprio il primo ad entrare, trovandosi davanti a tutti gli altri, e adesso stava chiacchierando con suo amico mentre io non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso.
Delle ragazze del mio stesso anno avevano in mano un cartellone con su scritto " Per Reece Turner 2: Vinci capitano, ti amiamo".
Man mano che mi giravo in torno notavo che molte volevano essere notate da lui, e puntualmente Reece, da gran Don Giovanni qual era, rispondeva mandando baci per poi ridersela con i suoi compagni. Che grandissimo stronzo, non lo sopportavo. Eppure non potevo dare torto alle sue spasimanti, infatti dovevo ammettere che emanava un aura di fascino non indifferente, proprio per il suo essere stronzo e menefreghista. Certo, oltre che per i suoi addominali scolpiti, i bicipiti forti e tonici, le labbra carnose e... oddio, stavo davvero pensando quelle cose di Reece?
Avevo sempre saputo che aveva una bellezza fuori dal comune, però mi irritava un sacco quindi avevo sempre preferito evitare di notare quanto fosse bello. E adesso ero ancora più irritata da me stessa, proprio perché non riuscivo a non notarlo.
Ero ufficialmente fuori di testa, perché quando ero in sua presenza tutto sembrava una contraddizione. Prima mi trattava una merda, poi bene, poi una merda, poi di nuovo bene.
Senza contare che avevo paura di fidarmi di lui, uno perché non ero ancora sicura di aver capito chi fosse davvero, e poi perché ancora mi stranivano i vari collegamenti che legavano le nostre vite passate. Fingevo di non farci troppo caso ma era tutto davvero strano, mi metteva ancora i brividi pensare alle scoperte che avevo fatto su me stessa in così poco tempo.
A volte mi sembrava di vivere in un sogno, avevo alcuni ricordi sbiaditi ma che mi sembravano così veri, eppure a volte la mia mente li spacciava per falsi, solo per non impazzire. Non avevo idea di cosa mi accadesse delle volte, però quando vedevo quel ragazzo quei ricordi si riaccendevano in me ed erano così nitidi da turbarmi, per questo, anche se non litigavamo, ogni volta che lo vedevo mi ritornavano quelle sensazioni e preferivo non averci a che fare.
<Renée> il ragazzo a cui stavo pensando, notandomi dall'altra parte della sala, alzò il capo in cenno di saluto e mi sorrise. Io misi su un cipiglio, ma a lui non importò.
<Questa te la dedico> Mi urlò, ancora sorridente, e i suoi amici lo incitarono ridendo.
Alcune delle ragazze che lo stavano ammirando si voltarono verso di me e io mi imbarazzai, ma non per me, più che altro perché provavo pena per lui e per quanto era ridicolo.
Prima che potessi accorgermene i ragazzi entrarono in campo e si misero in posizione, poi il fischietto dell'arbitro avviò la partita fra la nostra scuola, la Ulysses S. Grand, e la Jonh Marshall High School.
Dovevo essere sincera, non ne capivo molto di football, anzi non ne capivo affatto. Da come avevo intuito la nostra squadra doveva essere in vantaggio, molti acclamavano Reece dagli spalti, sembrava molto bravo in effetti. Ovviamente, come in qualsiasi cosa facesse, Reece eccelleva, era sempre il migliore di tutti, sopra di tutti. Il più bello, il più scaltro, il più popolare, forse persino il più intelligente.
Ma cosa si nascondeva sotto la sua maschera?
<Ehi, Renée, guarda!> Marika mi diede un colpetto dietro la schiena.
Distratta com'ero non mi ero neanche resa conto che fossimo in un momento clou della partita, o almeno era quello che potevo intuire dalla leggera tensione sui visi delle persone che mi circondavano.
Theo, il ragazzo moro che avevo conosciuto qualche sabato prima, passò la palla a Reece. Mentre l'avversario gli stava alle calcagna, lui prese del tempo per ragionare, poi fece per passare la palla ad un suo compagno, ma alla fine non lo fece. Si fermò e, in una frazione di secondo, si guardò intorno fino a intercettarmi con lo sguardo. Io lo guardai interrogativa, modellando il viso in una smorfia irritata, come se d'improvviso fosse diventato l'insetto più schifoso del mondo. Comunque lui non ci diede troppo peso, anzi, quasi si sentì ancora più incentivato a fare ciò che aveva programmato. Mi mandò un'occhiolino sorridente e poi mimò con le labbra "per te, Ren", sotto gli occhi di tutti.
Sinceramente? Avrei potuto maledirlo in tutte le lingue del mondo, e forse nella mia testa lo stavo facendo davvero, avrei potuto mettermi le mani in fronte per la sua stupidità, eppure il mio pensiero preferì concentrarsi su quanto fosse stato sexy il movimento quasi impercettibile delle sue labbra, fatto per scandire quella breve frase in modo che fosse diretta solo a me. Senza contare quanto fosse bello lui, in quel gesto così sfacciato, in ogni caso io non potevo ancora crederci.
Dopo avermi concesso un'attimo di realizzazione, Reece segnò con decisione, beccandosi le imprecazioni, per niente velate, dell'avversario vittima di quella sottospecie di bluff. In un attimo tutti i suoi compagni di squadra gli furono vicini, esultanti come non mai, gli erano saltati tutti addosso. Non mi accorsi nemmeno che nel vedere quella scena mi si incurvò l'angolo sinistro della bocca, anche se quel mezzo sorriso durò poco, dato che si spense non appena mi accorsi di avere gran parte dell'attenzione dei presenti in palestra. In particolar modo dellE presenti, tutte le ammiratrici di Reece mi fissavano incredule e rivolgendomi qualche cipiglio contrariato. Ecco, per quella cavolata adesso mi toccava anche fare i conti con le sue fan, assurdo.
<Hai visto? Dio Renée te l'ha dedicata davvero hahaha> fece Marika che era ancora al mio fianco, mentre mi picchiettava insistentemente sulla spalla.
Io non risposi e alzai gli occhi al cielo, eppure, forse, un pochino mi aveva fatto piacere.
L'arbitro annunciò che era la fine del primo tempo, così i giocatori uscirono dal campo, mentre le persone andarono a fare la scorta di nachos e pop corn da un gruppo di volontari che distribuiva cibo da stuzzicare durante la partita.
Presto Olive si avvicinò a me e alla mia amica, e ci invitò a seguirla, spiegandoci che ci saremo esibite durante le pause della partita, che occupava un'enorme arco di tempo destinato al resto delle attività. Del resto il football nella nostra scuola era sacro, e non potevamo di certo lamentarci. Speravo solo che non sarebbe stato troppo imbarazzante, esibirmi, intendo.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 27 ⏰

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