𝘊𝘈𝘗𝘐𝘛𝘖𝘓𝘖 𝘜𝘕𝘖

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«Scarlett! La torta è a tavola, vieni a soffiare le candeline!» Mi chiama mia mamma.
Metto i piatti del pranzo nel lavandino, e mi asciugo le mani nello strofinaccio appeso alla maniglia della mensola.

«Arrivo!» Corro per arrivare in salotto, Mamma ha messo la torta nel tavolino piccolo davanti al divano, con la scusa: "così per la foto abbiamo una bella vista dietro"

Io, mia mamma e mio padre viviamo nell'appartamento all'ultimo piano di uno dei grattacieli di New York.
È parecchio alto, e nel salotto abbiamo grandi finestre con vista sulla città, che sembra piccolissima da quassù.

Mio padre dice che lo fa sentire potente, come se la città fosse inginocchiata ai suoi piedi, e ne avesse il pieno controllo. Ma io non condivido questo pensiero. Non lo condivido affatto. Perché dovrei desiderare che gli abitanti siano inginocchiati a me? Tutto questo potere, tutto questo controllo, mi ucciderebbe di responsabilità, fino a farmi soffocare, come se qualcuno mi stesse costringendo a tenere la testa sott'acqua, aspettando che perda i sensi, e non abbia più la forza e la capacità di muovermi.

Io vorrei che fossimo tutti liberi.

Liberi come farfalle, come rondini, liberi di volare, di sentirsi a proprio agio, e poter correre senza preoccuparsi di prendere una facciata a terra. Vorrei che fossimo liberi da tutto. Da tutto e da tutti. Da tutti i giudizi infondati, da tutti i problemi, da tutte le responsabilità che schiviamo come se fossero lame che ci stessero venendo in contro, pronte per colpirci, e farci sanguinare, fino a farci prendere il controllo.

Non è chiedere molto, vero?
Sentirsi liberi. Liberi liberi liberi a ancora liberi.

«Tesoro, puoi posare il telefono e festeggiare tua figlia? Non capita tutti i giorni che compia diciotto anni!» Mia mamma lo sgrida, lo sgrida come fa al suo solito. Ma mio padre, non si preoccupa nemmeno di darle retta.

«Sono in chiamata, è importante. Non lo vedi?»

Certo, è in chiamata. È importante, ed io dovrei mangiare la torta senza disturbarlo. Senza soffiare sulle candeline troppo forte, da scompigliarli i capelli. E dovrei stare attenta che mia mamma non canti la canzoncina degli auguri troppo forte da disturbare la sua chiamata.

Il lavoro è più importante della famiglia.
Ficcatelo in testa, Scarlett.

Tutti gli anni, nella foto del mio compleanno, ci siamo io e mia madre abbracciate. Lei sorride, io pure, e mio padre serio o arrabbiato. Mente controlla l'orario, e tante volte il telefono.
Ecco, chi è mio padre.
Un uomo d'affari, che lavora nel governo, troppo impegnato e indaffarato per badare alla sua famiglia.

«Avanti, vieni!» Lo incita mia mamma facendoli cenno con la mano.

Lui conclude la chiamata, sbuffa e getta bruscamente il telefono nel divano.
«Forza, muoviamoci.»

Mia madre ha un espressione ferita. Gli angoli della bocca sono in giù.
Prende la scatola dei fiammiferi, si avvicina a me, e mi guarda di nuovo sorridendo.
«Avanti, mettiti al centro!»

Le sorrido a mia volta, e mi avvicino al tavolino.
Lei accende le candeline con un fiammifero, posiziona la macchina fotografica, e si sistema alla mia destra mettendomi un braccio intorno alla spalla.
Mio padre si avvicina, ha il suo solito sguardo serio, e si mette le mani in tasca.

«Tanti auguri a te! Tanti auguri a...» inizia a cantare mia mamma.

Io le sorrido, le voglio bene. Le voglio così bene, perché è così diversa da mio padre.

𝘖𝘝𝘌𝘙𝘊𝘈𝘚𝘛  -ɢʟɪ ɪᴍᴘᴇʀꜰᴇᴛᴛɪ-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora