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Mi inoltrai tra il sudore delle persone intente a ballare al centro del locale. In modo istintivo – forse neanche troppo – accentuavo il movimento dei fianchi mentre camminavo. Sentivo gli occhi di Noah scorrermi addosso, e non avevo bisogno di voltarmi a guardarlo per scoprire che mi stava seguendo come un segugio, con la lingua di fuori. Sarà pur scettico sulle mie reali intenzioni, ma la cosa lo eccitava e non poco. Camminai fino al corridoio che portava ai bagni, con Noah alle calcagna. Come immaginavo c'era fila per quello delle donne, ma non per quello degli uomini, nascosto dietro l'angolo.Aprì la porta per sbirciare all'interno e controllai che fosse vuoto. Noah se ne stava appoggiato al muro, con le mani nelle tasche dei pantaloni e quel perenne sopracciglio inarcato. Quando gli feci cenno di entrare, un luccichio gli attraversò gli occhi e per il tempo di un respiro mi sembrò quasi di vedere i suoi lineamenti duri allentarsi. Sbirciò oltre le mie spalle, accertandosi che il bagno fosse effettivamente libero, e mi passò di fianco. Si chiuse la porta alle spalle senza neanche voltarsi e ci si appoggiò contro, poi incrociò le braccia al petto e mi guardò con quella faccia che gli avrei roteato sul collo a suon di schiaffi. «Perché siamo qui?» chiese. Un sorriso mi sollevava gli angoli delle labbra verso l'alto. «Impaziente?» risposi alla sua domanda con un'altra. «Sì, d'altronde sono sempre stato abituato ad avere tutto quello che voglio con uno schiocco delle dita, phoenix».
«Tranne me» farfugliai sottovoce, sicura che lui non potesse sentirmi dato il volume della musica fuori.
«Tranne te» rispose invece, senza mai distogliere lo sguardo dalle mie labbra e dai miei occhi. Pronunciò quelle lettere come se gli bruciassero sulla punta della lingua, e le stesse fecero avvampare parti del mio corpo che non sapevo neanche si potessero accendere in preda al desiderio. Non potevi avermi, Noah Harris.Questo, però, non mi impediva di giocare le mie carte e prendermi le mie soddisfazioni. Lasciarlo rosolare mentre vincevo la mia partita. Perché il solo pensiero che Noah non mi credeva capace di una cosa del genere mi spingeva a buttarmici dentro a capofitto, a voler arrivare fino in fondo. Feci qualche passo all'indietro, senza mai interrompere il contatto visivo con i suoi occhi, fino a quando non andai contro un lavandino. Mi ci sedetti sopra, alzando leggermente la gonna del vestito.
«Volevi che ti dicessi cos'ho fatto mentre ti pensavo. Se mi sono toccata...». Annuì, e si slanciò in avanti, pronto ad avvicinarsi. «Resta dove sei» gli ordinai, alzando una mano, e lui si bloccò. Allargai le gambe e i suoi occhi si spalancarono. Si concentrarono sul mio viso, prima di scivolare sulle mie labbra, lungo il mio petto e poi giù fino al punto in cui le mie dita si avvolgevano intorno al ginocchio.
Con delicatezza, tracciai la parte interna della coscia con i polpastrelli e non avevo bisogno di viaggiare indietro con la mente per ricordare quel giorno, in quella camera, e i filmini che avevo sognato: i suoi baci languidi e il suo tocco possessivo. Le mie dita raggiunsero il bordo delle mutandine in pizzo. Lo vidi starsene lì, rigido e schiacciato contro la porta, con le braccia incrociate al petto, le mani strette in pugni così forti da far tendere le vene in rilievo sui suoi avambracci. Lo osservai.
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I want all of you
ChickLitCalida è cresciuta nel suo piccolo quartiere, una delle zone più pittoresche della città, con strade ripide fiancheggiate da case a schiera in mattoni in stile federale e vittoriano illuminate da lanterne antiche. Ecco perché, quando rimane orfana e...