27.

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Nella parte retrostante,
Dritto al tuo ardimento
La tua solerzia
dissimula la realtà.
Presago ardore nei tuoi occhi, desiderio.
Tuttavia io sono
ancora qua, ad interrogarmi sull'origine della tua confessione.
Forse sono io il problema?
Forse non ho l'età?
Forse, si.



Non sapevo il mio motivo. Ma la mia mente matta aveva un idea folle.

Mi ritrovai davanti alla porta di casa di Noah. Poteva essere uscito o poteva aver invitato una delle sue ragazze per sfogare la sua frustrazione in quello che, forse, era l'unico modo che conosceva. In realtà – e stranamente – volevo che entrambe le mie supposizioni fossero state errate. Avrei voluto trovarlo da solo e avrei voluto che vedesse in me il supporto che non aveva avuto oggi.

Sì, di sicuro stavo impazzendo. Lui al mio posto avrebbe usato questa debolezza per colpirmi, per affossare anche quel lato ribelle che cercava ancora di contrastarlo. Ero sincera: per un attimo avevo pensato di farlo anch'io. Ma mi era bastato vedere con quanta veemenza sferrava pugni al muro, e contro Liam distruggendo quelli che erano gli attrezzi del suo futuro mestiere, per cambiare idea.

Presi un respiro profondo e bussai alla porta. Dovevo ripetermi altre due volte prima che si degnasse di aprire. Aveva i capelli scarmigliati e l'espressione sfatta. Fatta, era forse più indicato. In una mano strinse il bong, e la puzza di fumo che aleggiava in casa rivelava che si era sballato fino a questo momento. «Che vuoi?» domandò dopo attimi di silenzio. Aveva la voce impastata e rabbiosa. «Io... accertarmi che tu stia bene. Sei scappato e...» Rise, ma si stava sforzando.

Poggiai la fronte sullo stipite della porta e sbuffò. «Sto alla grande.»

Sollevò un sopracciglio, le labbra erano sporte in segno di disappunto. «Stai di merda.»
«Ehi, non essere così volgare.» Rise ancora.
Mi feci avanti nella stanza, dandogli una spallata per liberare il passaggio. Lui non protestò, anche se dall'espressione si capiva che era sorpreso di trovarmi qui, di vedermi entrare, di scoprirmi in apprensione per lui.
Chiuse la porta e mi seguì.
«Sei solo.»
«Ottimo spirito di osservazione.»
Mi sedetti sul divano.
«Posso stare qui o rischio di prendere qualche malattia?»

Noah si buttò sull'altro divano e inalò una nuova boccata di fumo. «Non garantisco.»
Mosse la mano indicando la stanza e mi si strinse il cuore nello scorgere le nocche lacerate.
Avrei voluto medicargliele meglio di come avesse fatto lui, visto il sangue incrostato, ma sapevo che non me lo avrebbe permesso.
Perché avrebbe dovuto lasciare a me il controllo, mostrarsi debole, e non era da lui.

«Allora, forse rischierò.»
«Ogni lato di questa stanza è stato battezzato. Perfino l'aria che respiri ti mette in pericolo.»

«Non avevo dubbi.» Indicai il bong con il mento, lo teneva stretto neanche fosse la soluzione al prossimo test che ci avrebbero assegnato.
«Perché sei qui?» domandò con la voce stanca.
«Perché sei scappato via? E perché hai picchiato Liam?>>
Non avevo intenzione di dirgli che l'avevo seguito, che avevo assistito a tutto anche se non ero riuscita ad ascoltare cosa si erano detti.

Non avevo intenzione di chiedergli chi fosse quel ragazzo o cosa volesse da lui.
Camminavano su un filo sottile, noi due.
Sull'orlo del baratro. E a rischio di caduta ero sempre io.
«Noah...» lo sollecitai a rispondere.
«Mi aveva chiamato mia madre per dirmi che non sarebbe rientrata fino alla settimana prossima.>>
«Sai che non ci credo, vero?»

«Sai che non mi interessa un cazzo, vero?» sbottò, poi si massaggiò le tempie e cominciò a creare cerchi con il fumo.
Sospirai, mi guardai intorno con le mani strette tra le cosce, insicura se insistere o no.
«Puoi dirmelo, se ti è successo qualcosa. Non c'è bisogno di entrare nei dettagli se...»
«Smettila. Non c'è niente che non vada e, anche fosse, sei l'ultima persona con cui ne parlerei.»
«Perché?» Scattai in piedi.
«Perché non sono cazzi tuoi.»

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 19 ⏰

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