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La prima volta che il mio sguardo si posò sulla sagoma di Noah Harris avevo quasi sei anni, ero sua vicina di casa. Quella che appena imparò a pedalare sulla bici senza le rotelle non perse tempo a esplorare i dintorni. Quel giorno mi ero allontanata un po', mi trovavo nella zona residenziale di una parte della città. Mi era stato vietato così tante volte di oltrepassare quel "confine", non mi era mai stata data la motivazione che racchiudeva quella proibizione, ma come bambina a cui si vieta qualcosa, ovviamente, non badai al divieto e mi spinsi fin laggiù.

In sella alla Mx azzurro brillante, che apparteneva a mio fratello Mark, pedalai fino a seguire quel ragazzino. Se ne stava lì, in piedi, all'ombra di un'enorme quercia senza muovere un muscolo, con un'espressione smarrita dipinta sul volto.

Più mi avvicinavo e più riuscivo a scorgere i tratti estetici del suo viso. Era bello, ed ero sicura che quando fosse diventato grande avrebbe conquistato e spezzato molti cuori.

Rimasi impressionata dai suoi occhi che, così espressivi e in grado di toccare un nervo scoperto, mi fissavano guardinghi e scettici.

Potevo intuire che aveva all'incirca la mia età e che non gradiva la mia presenza nel suo spazio personale. Quando fui a mezzo metro di distanza da lui, mi avvicinai un po' e mi accorsi che le sue iridi erano cerulee: era la prima volta che vedevo quel colore, per me insolito, e sorrisi dinnanzi a quella novità.

«Che hai da sorridere come una cretina?» domandò insultandomi in tono severo, per niente contento della mia felicità.

Le teste di rapa come lui erano una categoria che avevo sempre evitato ma, a quanto pareva, ero capitata nel radar di uno di questi.

Conoscevo alcuni ragazzini così, dove vivevo, ne ero attorniata e sapevo come rapportarmi con loro.

La me battagliera avrebbe voluto scagliarcisi contro, tuttavia la me disciplinata si trattenne dal farlo. Perché al contrario di ciò che poteva suggerire il mio aspetto esteriore, mia zia mi aveva impartito un'eccellente educazione.

«Ciao» lo salutai fingendo che quell'epiteto non mi avesse infastidita. «Mi piace il colore dei tuoi occhi» aggiunsi facendogli un complimento.

Le sue labbra si contrassero in una smorfia. Forse non era il miglior complimento che si potesse fare a un maschio ma non avevo filtri, solitamente dicevo sempre ciò che pensavo.

«Senti ragazzina dai capelli rossi se pensi che desideri parlare con te di unicorni rosa da voler cavalcare, brillantini e dolci coniglietti ti sbagli di grosso. Adesso vattene» ordinò insolente. Mi accigliai e non mi sfuggì che mi diede della pazza. Ero sempre stata una persona socievole, forse risultavo un po' bizzarra per chi ancora non mi conosceva ma mi piaceva fare amicizia con altri bambini, non venivo mai snobbata in quel modo, quella era in assoluto la prima volta.

«Tempo fa ho imparato ad andare in bicicletta e oggi mi sono avventurata in questo quartiere» continuai, decisa a non lasciar perdere. «Mi farebbe piacere se diventassimo amici, qui non conosco nessuno, magari potresti unirti a me per andare insieme in esplorazione. Cosa ne dici?»

«Sei sorda per caso? Ho detto di andartene». Non era affatto carino.

Stavo per ribattere, ma venni interrotta dalla voce squillante di una bambina.

«Ciao, io sono Molly e ho sette anni» si presentò posizionandosi di fronte a me.

«Lui invece è Noah, i nostri genitori sono amici dai tempi del liceo».

Lei era decisamente più cordiale di lui.

«Sono Calida,» dissi a mia volta. Sentii Noah sbuffare.

«Posso venire io a esplorare i dintorni ed essere tua amica, se vuoi» propose Molly, che probabilmente aveva ascoltato la piccola conversazione tra me e lui.

I want all of youDove le storie prendono vita. Scoprilo ora