Prologo

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Diana

«Diana dove sei?» la voce sicura di papà vibra attraverso il cellulare, ricordandomi del pranzo di famiglia al blue sea restaurant.

«Sto arrivando, ero allo skatepark con gli altri ragazzi.» giustifico frettolosamente il ritardo, mentre posiziono il piede sulla tavoletta di legno per lasciarmi trasportare.

«È possibile che sei sempre in ritardo?!» tuona lui, dall'altro capo del telefono.
«Dai, George, ha solo sedici anni..» sento la voce dolce della mamma che prova a giustificarmi. Dalla nitidezza del suono capisco che si trovano in macchina con l'altoparlante.

Un lieve sospiro di papà mi risuona chiaramente nell'orecchio e resto per un attimo in silenzio, per trovare le parole giuste in modo da addolcirlo.
«Dai, papino, non ti arrabbiare.»

«Siamo quasi arrivati al ristorante, Josh e Nathan sono già lì» spiega papà, questa volta con più calma, «resta lì che ti veniamo a prendere.»

«No, papà, non ce n'è bisogno.» dico, con la voce più angelica che conosco, «cinque minuti e sono lì.»
«Va bene, sta' attenta!» replica con tono amorevole.
«Ti vogliamo bene!» conclude la mamma, con un sonoro schiocco di un bacio.

Rimetto il cellulare nella tasca dei jeans senza fermare lo skate, lo utilizzo da così tanti anni che non mi serve prestare attenzione ai movimenti che faccio. Percorro la strada per arrivare al ristorante, ondeggiando per tutto il tragitto, intenta a godermi ogni momento.

L'aria tra i capelli e la velocità, mi donano uno stato di pura libertà. Improvvisamente, tutti i piccoli problemi quotidiani svaniscono, lasciando spazio a ciò che conta veramente: l'essenziale. È come se ad un tratto fossi un tutt'uno col mondo circostante. Non avrei rinunciato a questa sensazione per nulla al mondo.

In lontananza intravedo il ristorante, ma quello che mi disorienta è la marea di persone che si è formata vicino all'incrocio. Rallento con lo skateboard, fermandomi del tutto quando raggiungo il punto d'interesse.

In un attimo il mio stato di tranquillità viene rotto dal caos circostante. Sirene dell'ambulanza, il rumore assordante della pompa dell'acqua dei vigili del fuoco, le urla strazianti, le voci agitate delle persone accanto a me.

Resto in uno stato di trance per un tempo indefinito, finché qualcosa dentro di me non mi suggerisce che devo reagire. Devo capire cosa sta succedendo.

Afferro con poca gentilezza la manica della giacca di una ragazza più o meno della mia età, obbligandola a guardarmi in viso.

«Cos'è successo?» le chiedo impaurita.
«C'è stato un incidente» mi spiega, agitando la mano libera, «dicono che una macchina è sbucata fuori dal nulla, facendo schiantare quella grigia al muro di quella casa.» indica, sollevandosi sulle punte dei piedi per poter guardare meglio.

Macchina grigia. Macchina grigia. Macchina grigia.

Queste sono le uniche due parole che iniziano a ripetersi automaticamente nella mia testa. E sono proprio queste due parole a farmi scattare. Inizio ad infilarmi tra la gente, spingendola con i gomiti e parandomi con la tavola da skateboard ogni qualvolta mi arriva una gomitata di risposta.

La mia agitazione non si placa finché non riesco a scavalcare tutte le persone, ritrovandomi finalmente in prima linea. La scena che i miei occhi scovano è qualcosa di agghiacciante.

L'odore di bruciato mi riempie le narici, mentre i suoni attorno a me si fanno sempre più ovattati, lontani. Le mani mi iniziano a tremare e lo skateboard mi scivola dalla presa senza che io possa far nulla per impedirlo. Si schianta contro il suolo con un tonfo tale da risvegliarmi dallo stato di torpore in cui mi trovo.

Le mie gambe si muovono da sole in direzione della loro auto. Qualcuno sta urlando, forte, disperato. Un urlo straziante, pieno di dolore, di disperazione. Quel dolore che ti arriva dentro al petto e ti stacca il cuore senza pietà.

Realizzo di essere io ad urlare solamente quando qualcuno mi blocca il corpo in una morsa, impedendomi di fare un solo passo in più.

«No, Diana. Ferma.» la voce rotta di mio fratello mi arriva alle orecchie come una pugnalata.
Racimolo la poca forza che mi è rimasta e la utilizzo per cercare di svincolarmi dalla sua presa, ma lui stringe con più forza.

«Diana.. per favore..»
Non dico nulla. Non ho più voce. Non ho più forza. Crollo esausta tra le sue braccia e lascio che le lacrime mi righino il viso, una dietro l'altra, senza sosta.

La pompa dell'acqua finalmente si ferma e i soccorritori corrono velocemente verso la macchina, o meglio, quello che ne resta. I suoni si fanno nuovamente lontani e mi sembra di vedere la scena rallentare, come se fossi in un film.

Tirano fuori i loro corpi dai rottami dell'auto, ormai senza alcun segno di vita. Li posano con delicatezza su una barella, si guardano tra di loro e poi scuotono lentamente il capo.

«Perché non li aiutano, Josh? Perché non fanno nulla?!» chiedo disperata, con la voce rotta dal pianto.

«Sshh..» appoggia la guancia contro la mia, percependo subito le sue lacrime bagnarmi la pelle.

Il mio sguardo resta lì, dove si trovano loro. Il soccorritore che fino a pochi attimi prima scuoteva il capo sconsolato, ora gli sta appoggiando con delicatezza e cura il telo bianco, fino a coprirgli il viso.

Ed è proprio in quel momento che la mia mente realizza cosa è appena successo. È proprio in quel momento che il mondo mi cade addosso, schiacciandomi con tutto il peso del dolore.

«Ti prego.. NO!» urlo, urlo fino a sentire la gola bruciarmi come fuoco puro.
Il cuore mi si rompe in mille pezzi, posso sentire la fitta di ogni singola parte sgretolarsi e farsi polvere.
«Sshh..» sussurra Josh ancora una volta, cullandomi tra le sue braccia.

Zio Finn si posiziona davanti, impedendomi di guardare oltre.
«Zio.. mamma e papà.. non..» non riesco a completare la frase, mi prende di peso e mi allontana. Ma io non voglio, non voglio abbandonarli. Cerco di scalciare con tutte le forze che mi sono rimaste, pur di liberarmi.
«LASCIAMI! LASCIAMI!»

«LASCIAMI! LASCIAMI!»

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You fix me - tutte le onde alla fine passanoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora