19 | L'invito

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Diana

Sono stata allo skatepark tutto il pomeriggio insieme a Will e gli altri ragazzi. Era da molto che non utilizzavo lo skate in modo serio. L'ho sfruttato per spostarmi senza chiedere passaggi a Scott qualche volta, ma nulla di più.

Tra un allenamento e l'altro Will mi ha invitata ad una festa. L'organizzatore si chiama Aaron. È buffo che si chiami come la persona che ha nominato Alec alla festa nel bosco, facendo perdere le staffe a Ethan. Qualcosa, dentro di me, mi suggerisce che sia una coincidenza fin troppo insolita, e la curiosità di saperne di più mi ha portata ad accettare l'invito senza pensarci troppo.

Magari farò un buco nell'acqua e l'organizzatore della festa non ha niente a che fare con Ethan e Alec, ma per scoprirlo ci devo andare.

Comunque, eseguire i trick – salti e acrobazie sulla tavola da skateboard – per molte ore, mi ha resa esausta. I muscoli e le articolazioni lavorano insieme e, siccome sono mesi che non mi alleno come si deve, il mio corpo ne sta risentendo. I dolori alle gambe sono così intensi che sono stata costretta a sdraiarmi sul letto appena ho varcato la soglia della mia camera, evitando di fare qualsiasi movimento.

Nonostante sia sfinita, questo sport mi ha permesso di rilassare la mente. Per la prima volta, dopo tanto tempo, non sono stata circondata da pensieri nauseanti, sensi di colpa asfissianti e ricordi dolorosi. Sono riuscita a racchiudermi in una bolla di serenità.

Non ho fatto in tempo a chiudere gli occhi per farmi cullare dalle braccia di Morfeo che il mio stato di tranquillità è stato interrotto da un rumore assordante. Il cuore ha iniziato a battere ad un ritmo impazzito, convinta fosse un ladro, ma sono rimasta a letto per essere sicura di non aver avuto un'allucinazione.

In un modo del tutto meccanico ho acceso la luce dell'abat-jour, in modo da alzarmi senza cadere. Poi, lentamente e con le gambe tremanti per via dell'agitazione, mi sono incamminata a piedi nudi per controllare di persona.

Ero così stanca da non avere nemmeno la forza per cercare un'arma con cui difendermi, ho pensato che utilizzare la mia voce fosse più che sufficiente.

Armata di tutto il mio coraggio, ho cercato a tastoni la maniglia per aprire la portafinestra che conduce al mio balcone, pronta ad urlare. I miei occhi hanno subito incrociato le sue iridi blu cobalto. Un oceano di emozioni contrastanti mi ha percorso il corpo, mi sono entrate dentro le vene come il peggiore dei veleni e mi hanno curata come il migliore degli antidoti.

In un attimo, ho capito che la promessa fatta a Lillie e tutti i miei buoni propositi, hanno fatto le valigie e si sono trasferiti nel dimenticatoio.

Avrei potuto urlare, farlo scoprire. Se Josh l'avesse scoperto non gli avrebbe più permesso di avvicinarsi a me, in nessun modo. Eppure, le mie corde vocali non hanno avuto alcuna intenzione di collaborare, anzi, dalle mie labbra è fuoriuscito a malapena un sussurro.

La verità è che non volevo fosse scoperto. Più che altro ero curiosa di sapere cosa lo avesse portato ad arrampicarsi sul mio balcone. Nessuno aveva mai fatto tanto per me, nemmeno Leon.

La sua sfrontatezza lo porta a fregarsene delle conseguenze, il suo ghigno divertito ne è la conferma. Più lo guardo e più mi sento attratta da lui, come se lo avessi aspettato per una vita, ma non avessi la possibilità di godermelo a pieno.

Cerco di restare impassibile e pretendo delle spiegazioni che non sarebbero mai arrivate. Perché lui non è il tipo che ti da ciò che vuoi e quando vuoi. Lui è più il tipo di persona che ti lascia sulle spine, fa in modo che ti graffino e che ti lascino il segno per ricordarti del suo passaggio.

Gli sono bastate due parole per far crollare il muro che mi sono ostinata a creare tra noi due. Volevo vederti.
Ad ogni sillaba ho percepito ogni mattone crollare nel vuoto e diventare polvere, fino a rendere nullo ogni mio progresso.

You fix me - tutte le onde alla fine passanoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora