46. Saluti

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Camminare da sola per le strade deserte è davvero deprimente, ma sono uscita tardi dalla psicologa e ho perso il pullman, e no, non mi va di chiamare mia madre. Negli ultimi giorni oltre a recuperare un bel po'del programma scolastico, ho anche continuato a scrivere una vecchia canzone che era stata abbandonata a se stessa per troppo tempo. Parla di...non lo so, troppe cose messe insieme, c'è tanto disordine in ogni cosa che faccio.

Passo davanti casa la casa di Totì e mi so stringe il cuore in una stretta soffocante, senza pensarci due volte vado verso casa sua. Busso alla porta un paio di volte ma non ricevo alcuna risposta, il che è alquanto strano.

Insisto per qualche altro secondo ma presto vengo fermata dalla vicina di casa forse più anziana ancora del mio ex professore che mi dice <Stai cercando Totì? È morto da tre mesi tesoro>.

Annuisco sorridendo, quindi Totì mi risponde tra qualche secondo, continuo a bussare.

<Signorina?> le mie nocche battono con più forza nella porta di legno.

<Signorina Totì non è più tra noi> ma ľunica cosa che vedo è il sangue sul materiale e un dolore quasi impercettibile.

La donna si avvicina a me e mi blocca. Mi abraccia e mi accarezza la testa, strano che Totì ancora non mi apra.

<Abbiamo sofferte tutti come te in questo momento, era un uomo ďoro> la vecchia si allontana  e rimane quasi scioccata, come se la mia faccia fosse piena di tagli o roba simile.

<Vuoi che chiami qualcuno?> interroga preoccupata, non penso di star battendo ciglio, eppure il suo livello di preoccupazione avanza.

<Tornerò un altro giorno> sorrido uscendo presto dal vialetto senza voltarmi indietro.

Inizio a correre verso casa, così veloce che i miei polmoni prendono fuoco e il fianco inizia a pungere, le gambe stanno per cedere, e gli scarponi mi fanno uscire le bolle ai piedi.
Percorro la strada in pochi minuti e appena vedo la porta di casa la oltrepasso in un secondo.

Mia madre è bloccata davanti alla scale dell'ingresso che portano al piano di sopra, mi lancia uno sguardo confuso e subito mi blocca dal braccio prima che posso sfuggire nel giardino.

<Che ti succede Vicky?> corruga la fronte.

Stringo le labbra facendo un breve respiro dal naso, apro bocca <Sono andata da Totì e non era in casa>.

<Amore Totì non è più tra noi> mi poggia il palmo freddo sulla guancia sinistra.

<No, è sicuramente andato all'enoteca per prendere una nuova bottiglia di vino da degustare> sposto lo sguardo sull'appendiabiti dietro di lei.

<Amore, è morto> a questa frase inizio a muovere la testa in segno di protesta, mi tremano le braccia e i denti, le ginocchia mi cedono e mia madre mi prende dai lati delle braccia e mi tiene pur di non farmi cadere di peso morto per terra.

Mi stringe forte a sé mentre i miei singhiozzi diventano sempre più forti e le lacrime più veloci.

<Perchè non me lo hai detto?> affondo le testa nel suo petto.

<Sei troppo fragile, pensavo che se te lo avessi detto avrei solo peggiorato la situazioni, stai andando così bene> mi bacia la fronte accarezzandomi la schiena.

<Com'è successo?> chiedo con la voce incrinata.

<Ha avuto un ictus, pensavano si stesse riprendendo ma non ha più risposto al trattamento, ha detto che avrebbe preferito morire di che non poter muovere le dita sui tasti del pianoforte> il cuore mi affonda, questo è qualcosa che solo Totì avrebbe detto.

Dovevo visitarlo, stargli accanto. Mi aveva detto di passare da lui e non ci sono andata, ľho lasciato solo a se stesso, poichè non aveva dei figli, un compagno, dei genitori, completamente solo con la sua malattia.

<Voglio andarlo a vistare> stringo la gonna di mia madre in pugno provando a sopprimere ľagonia in cui mi trovo.

<Andremo, ma ora dovresti provare a calmarti e bere un po'ďacqua> mi prende le mani per aiutarmi ad alzare.

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