4. Birdie

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Erano trascorse più di tre settimane da quando John era partito. Da quando l'aveva guardato sparire sull'enorme veicolo militare, Yael era rimasta ancora per qualche minuto nella pozza di luce aranciata e ronzante, il freddo tagliente della sera a pizzicarle il naso, come inebetita.

Il cuore le martellava nel petto, ma il cervello stava lavorando al ritmo di un frullatore impazzito. Si chiese perché lo avesse baciato, perché avesse lasciato intravedere così scopertamente le proprie intenzioni. Perché proprio a lui.

Continuò a chiederselo senza sosta nei giorni a seguire e ogni volta che le arrivava un messaggio dal numero di Johnny.

Si potevano contare sulle dita di una mano. Erano telegrafici, chiassosi, a volte indecifrabili perché abbreviati in scozzese, eppure le raccontavano cose di lui che avrebbe preferito non sapere. Non per invischiarsi ancora più a fondo in quel sentimento che odorava di guai. Qualunque cosa fosse.

Più volte era stata sul punto di non rispondere, di non illuderlo ulteriormente sull'idea che di lei doveva essersi fatto. Invece, per quanto s'incaponisse, quella gioia semplice di saperlo vivo e al sicuro non riusciva in alcun modo a sopprimerla.

Per mettere a tacere quella parte ingombrante e pavida di se stessa, decise semplicemente di non cercarlo.

Lasciò che i giorni scorressero via tutti uguali, fingendo che non le importasse, che non esistesse quella paura ingenua e istintiva che le insinuava nella mente il dubbio che, semplicemente, John MacTavish si fosse dimenticato di lei.

Era diventata così brava a ingannare se stessa che con gli altri le riusciva addirittura più semplice. Non se l'era sentita di raccontare ad Ann delle sue prodezze con il sergente, a parte qualche vago accenno al primo caffè che avevano bevuto assieme. Non per sentirsi ricordare l'assurdità di ciò che stava facendo.

Per questo quella sera le chiese di uscire. Ridendo, con una leggerezza che in realtà non sentiva.

Dopo settimane di intenso lavoro, finalmente si prospettava la dolce promessa di una serata libera prima di un paio di giorni di riposo. Non voleva essere un peso per Ann, non di nuovo, non per scaricarle addosso le sue inutili elucubrazioni.

Si cambiarono nello spogliatoio del personale in fretta, ansiose di rinchiudersi in un pub per sfuggire al freddo pungente e annegare il mal di testa nel fondo di un bicchiere di scotch.

Le doppie porte del pronto soccorso inusualmente deserto si chiusero alle loro spalle con un fischio secco, risucchiando via la luce brillante dei neon e il calore, quasi opprimente, dell'impianto centralizzato.

- Cazzo, che freddo. – sbottò Ann con una risata nervosa che già si trasformava in condensa. Gli occhi verdi, velati e leggeri, incontrarono i suoi nella brezza e anche Yael non trattenne una spontanea risata.

Suonavano strane le loro voci nel piazzale ampio e deserto. L'innaturale luce aranciata dei lampioni nell'umidità sembrava distorcere i contorni del mondo circostante, intrappolando la realtà in una stasi fredda e lontana.

Per questo trasalirono quando, ai lati del loro campo visivo, notarono l'avanzare di tre figure immense e scure nella penombra, i volti seminascosti dalla nebbia leggera che era calata sul piazzale.

Yael sentì la mano di Ann insinuarsi gelida nella propria, le unghie affondare nelle sue dita e si sforzò di mettere a fuoco. Trattenne il fiato, ma non per lo spavento. 

Non notò lui per primo, ma il tenente Riley. I familiari occhi castani, duri, diffidenti, incastonati nel balaclava nero con le fattezze di un teschio umano.

Il cuore le fece una strana capriola. Sondò la penombra con più attenzione e finalmente, accanto alla stazza da armadio del tenente, riconobbe la familiare cresta mohicana del sergente MacTavish.

Wait for me || John "Soap" MacTavish (Call Of Duty) x OCDove le storie prendono vita. Scoprilo ora