24. I don't have time for singing

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Yael non ricordava neppure l'ultima volta che aveva attraversato i corridoi freddi e spogli del Ministero della Difesa. Tuttavia, poteva rievocare alla perfezione il vago senso di nausea e repulsione che l'aveva accompagnata a ogni visita.

Soprattutto dopo la morte di suo padre.

Esitò di fronte al vetro satinato della vecchia porta in ciliegio per quella che parve un'eternità, prese un respiro, poi un altro, finché il cuore finalmente non rallentò un poco le pulsazioni.

Dorothea Johnson l'aspettava compunta dietro la lunga scrivania in noce laccato dell'anticamera.

I capelli scuri disciplinati in una crocchia strettissima sulla nuca, sollevò lo sguardo di un azzurro pallido e slavato, quasi grigio, non appena il rumore dei suoi stivali scricchiolò appena sul parquet tirato a lucido.

Thea abbozzò un sorriso nervoso, mentre le gambe sottili scattavano per accoglierla, rivelando la divisa formale perfettamente stirata. Il viso allungato e olivastro appena più rotondo di quando l'aveva conosciuta in accademia anni prima.

- Yael... - la chiamò in un sussurro tiepido che le spezzò il cuore, quasi avesse visto un fantasma, caro, ma distante anni luce.

- Ti trovo bene, Thea. – sospirò la dottoressa e le gambe rigide la portarono più vicina, abbastanza da captare l'odore familiare del vecchio mobilio polveroso, misto a quello dolciastro di costosi sigari cubani.

La ragazza in divisa le porse una mano piccola e calda su cui scintillava, quasi nuova, una fede nuziale. Raggiunse la sua oltre il piano laccato della scrivania e il moderno monitor del PC, in una stretta accorata.

- Mi sei mancata, non ci vediamo da... - sorrise Dorothea, accompagnando la presa delle dita morbide, ma un respiro le morì in gola.

Un non detto sottile e imbarazzato invase l'aria ferma. Le loro vite non potevano essere più diverse, più distanti.

Yael a inseguire la notte fra turni in sala operatoria e un compagno nelle forze speciali; Thea, accudente e gentile, che aveva messo in pausa tutto il resto per un marito commercialista e un bambino di pochi mesi.

Era diventato difficile intrudere l'una gli spazi dell'altra, un po' per pudore, un po' orari inconciliabili. Eppure, Yael ricordava ancora con affetto la notte in cui aveva abbandonato la sala operatoria per assistere Thea, reduce da un parto lungo e complesso.

Non aveva mai immaginato un futuro simile per se stessa, non fino a quel momento.

- Lo so, mi dispiace. Sarei dovuta passare a trovarti. – ammise la dottoressa in un sospiro, una fitta di rimpianto che le si annodava traditrice alla gola.

Le dita esili dell'altra si aggrapparono alle sue, ancora più strette. Le sembrò qualcosa di assurdamente intimo, più delle decine di messaggi che si erano scambiate nell'ultimo anno.

- Non fa niente. Oliver è così cresciuto, sai, non lo riconosceresti. – sorrise Thea con un orgoglio materno che le spezzò il respiro: - La nostra porta è sempre aperta per te. –

Per un attimo, Yael non seppe cosa rispondere. C'era troppo da rimettere ancora in ordine nella sua vita per arrivare alla serenità con cui Dorothea le stava parlando. Tanta parte dipendeva dal semplice fatto se John MacTavish fosse vivo o meno.

Si limitò ad annuire, un respiro incastrato in gola, e, con il cuore in subbuglio, lasciò la presa sicura dell'amica per bussare all'austera porta in legno cesellato che divideva l'anticamera dall'ufficio.

Il richiamo, quasi abbaiato, dall'altra parte scosse i piedi inchiodati al pavimento tirato a lucido.

L'ufficio del Colonnello Hughes era rimasto esattamente come lo ricordava. Un cimelio, preservato e distante, quasi incastonato nel tempo.

Wait for me || John "Soap" MacTavish (Call Of Duty) x OCDove le storie prendono vita. Scoprilo ora