Il giorno dopo, quando Rèoro si svegliò, vide il suo aureo comodino ricolmo di lettere.
Erano tutte marchiate da un'artigliata obliqua ai loro lembi. Era segno che la fenice in questione era riuscita ad ottenere una risposta da riconsegnare al mittente.
"Finalmente" disse il reo d'oro quando s'alzo bruscamente dal mezzo delle sue lucenti coperte dorate; erano così fulgide che sembrava fossero state tinte da un colorante ricavato dal platino e non dall'oro.
Con fare preoccupato s'avvicinò ai messaggi che gli avrebbero fatto scoprire quale dei suoi Corvini fosse venuto a mancare. Di getto le iniziò a sfogliare con i suoi grandi e possenti guanti borchiati, e notò, proprio come temeva, che ce n'erano solamente otto.
Guardando le firme poste alla fine d'ogni messaggio arguì che l'unica firma a mancare era quella di Cobaltius; addirittura Nubius, in qualche modo, era riuscito a rispondere. "Quindi è del Deserto Dorato che dovrei preoccuparmi" disse mentre guardava la lettera del capo dei Corvini. "Per fortuna Nubius è ancora in vita, credo però che quella cosa che lo ha infettato sia ancora insita in lui" affermò Rèoro.
Il Dio dell'Oro trasse questa conclusione proprio perché dalla lettera della sua Creatura più forte e combattiva erano incise pletore di glifi oscuri.
Essi, anche se erano battuti su carta, incarnavano i più cupi colori della notte. Viola, nero e blu scuro potevano essere scorti pulsare e 'contorcersi' all'interno di quelle misteriose scritture.
Tutt'al più, alla fine di quest'abbuiata lettera vi era il piccolo disegno di una farfalla.
"Dovesse ripalesarsi nello stato in cui l'ho già sconfitto precedentemente, dovrò ucciderlo una volta per tutte...a malincuore" disse il Re. "Credo che debba mandare un Corvino a fare rapporto a Sabbie Soffici, anche se poi sarebbe come dar ragione alla vecchiaccia di Sole Cadente" disse il reo d'oro guardando dalla finestra la sua sontuosa Capitale Dorata, che come ogni dì, con il suo infinito oro, lo rapiva. "Non posso di certo mandare Lumius, quello stolto s'è inimicato tutti i granelli di sabbia di quel dannato deserto!" il Re ragionò. "Anche se dovessero metterci due settimane dovrò mandare uno tra Violaceus e Smeraldius."
Mentre il suo fidato Lord ragionava, Nubius, immerso nel più inebriante sangue di Seblùsia, iniziava a dare segni di ripresa. Egli era disteso su una superfice di Sangue che lo copriva del tutto. Lasciava fuori solamente il suo pronunciato becco nero. Ogni tanto Il Corvino alzava il busto, e dalla visiera iniziava a 'tossire' oscurità; poi si riaccasciava e tornava a fare il finto morto.
Durante il suo coma era accompagnato sempre da orrendi incubi: una volta sognò di essere riempito, di nuovo, da una vampata bollente dal Cavaliere per poi esser decapitato facendo fuoriuscire dal suo corpo Acqua e Sangue. Un'altra volta sognò Rèoro che gli diceva "Sei una delusione, come hai potuto farti abbattere da un Cavallone! Hai meno onore di uno schiavo! Dovrei mandarti a far erigere per il regno dei miei simulacri insieme ai miei sporchi servi per quanto poco vali!"
Dopodiché, prendendo la sua maestosa ed aurea ascia, gli venivano tagliati tutti gli arti e veniva lasciato morire sotto gli occhi del nuovo mentore del Re: Lumius.
Tuttavia, il sogno più temibile e verosimile lo fece un giorno prima che la fenice s'insediasse nelle intricate rocce azzurrine di Seblùsia.
Quella notte Il Corvino Nero visse quel sogno in terza persona, stranamente. L'unica cosa che vedeva era una farfalla dalle ali scarlatte ed il corpo candido che svolazzava nelle tenebre. Non si scorgeva nulla se non la sua aura rossastra che proveniva dalle sue screpolate ali.
La farfalla vagava nell'ombra, aleggiava rapidamente e con agilità, quasi cercasse di rimuovere la penuria che la circondava, quasi cercasse di ribellarsi, quasi cercasse di rivoluzionarsi.
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Le Cronache Scarlatte - Il Cavaliere
FantasyIn un mondo dominato dal più profondo blu del Mare, gigantesche e abominevoli Creature Marine dalle esecrabili fattezze vagavano dandosi battaglia. L'unico colore presente era il blu, che rendeva il tutto apatico e monotono. In quel mondo non v'era...