50. La Paura Scarlatta

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La prima a esser presa di mira fu la Capitale Dorata, già subissata dal sangue in precedenza.

Dai 'laghi' che s'erano formati tra le miriadi di strade e vie, centinaia di manti fulvi si palesarono materializzandosi dal Materiale Rivoluzionario.

La popolazione della capitale, già scossa dal rintocco delle Campane che ora, per fortuna, era cessato, iniziò ad andare nel panico.

Gli Adepti del Sangue, velati e biechi, con i loro pugnali tagliavano le gole, con le loro spade trafiggevano corpi quali avevano già le orecchie esplose e, soprattutto, con un viscoso tentacolo rutilante che sbucava dal loro umbratile manto, reclutavano altri Adepti, i quali sarebbero andati a formare l'invincibile esercito scarlatto della Dea del Sangue.

Vampiri, umani e nani venivano fagocitati per intero dalla viscida protuberanza dei Cappucci Rossi, la quale l'impregnava di una sostanza erubescente una volta risputati.

Gli unici a sfuggire alla loro morsa erano gli Oriferi, che con le loro corazze riuscivano a contrastare i loro esecrabili viticci sanguigni.

A suon d'asciate e di spadate, i commilitoni del reo d'oro li sconfiggevano. Loro, però, continuavano a fuoriuscire dal Sangue. Asce e spade erano frivole. Tutt'al più ogni volta che venivano trafitti o uccisi scomparivano in dei tornado d'ombra, seguiti da dei suoni spettrali che attingevano a uno struggente pianto.

E' lapalissiano dire che anche Rèoro se n'accorse. Adirato com'era, interruppe la sua marcia verso Piana del Vespro e incominciò anch'egli a contribuire alla guerriglia con tutta la collera che aveva.

Il Re venne assalito da una pletora di seguaci, i quali con lunghe spade argentee e daghe acuminate incombevano felli.

"Sangue," diceva rabbioso, "Non ti temo! Neppure le tue sporche creazioni!"

E con l'ascia, impugnata a due mani, iniziò a falciare i Cappucci Rossi.

"Fatevi avanti! Voi e la vostra sordida Dea non avrete mai la corona!"

Dopo averne eliminati parecchi ed esser circondato solo da sangue e viscere, con i gambali sepolti nel rosso, il Dio dell'Oro ebbe un attimo di tregua, e solerte si guardò attorno.

La Capitale veniva poco a poco colorata sempre più da eserciti di Cappucci Rossi; tutte le Creature erano in preda al panico; e i suoi commilitoni venivano abissati sempre più dalla divina forza del Sangue, che li consumava e li arrugginiva.

Il Re non poteva rimanere lì impalato, doveva agire; doveva provare a superare ogni limite.

Al che levò lo sguardo al cielo. "Stelle! So che potete sentirmi!" Partì a gridare ardito. "Io m'asconderò dal destino che volete prefissarmi e lo illuderò, scagionandomi da esso non vi sarà entità alcuna in grado di fronteggiarmi! Sarò eterno!

"E' inutile che provate a spodestarmi, io sono invincibile! Sono il Dio dell'Oro, e non lascerò mai che il suo sgargiante colore venga lordato dalla vostra arcana tinta ferrea!"

Proseguì con gli occhi che gli fervevano nell'elmo.

"Io e la Celestialità ristabiliremo la Sublime Perfezione che da troppo manca in queste terre! M'avete inteso, o voi imperscrutabili Stelle?!"

Tuttavia, anche un Dio può commettere un atto di blasfemia, e questo atto è compiuto proprio quando quest'ultimo prova a interloquire con il cielo.

Ecco che le nuvole si squarciarono. Un gigantesco fulmine dai colori dell'iride venne sprigionato. Rèoro ne venne inghiottito.

Il rombo e l'impatto furono così potenti che tutta la disastrata Capitale Dorata poté udire.

Il Dio accecato dall'oro cadde a carponi. Altresì le sue possenti braccia facevano fatica a sorreggerlo, di fatto tremolavano.

Le Cronache Scarlatte - Il CavaliereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora