51. Dal Blu Al Cremisi

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Mentre cadeva le voci che gli rimbombavano nelle orecchie si fortificavano, sempre di più. Erano direttamente proporzionali alla sua perenne caduta.

Il Cavaliere stava cadendo ormai da più di qualche minuto.

Pareva non ci fosse fondo. Pareva fosse stata una trappola. Una imperscrutabile trappola, magari di Saqirlat.

L'unica cosa che si scorgeva era quel solito e misterioso arancione che attingeva al colore del Fuoco Originale. Esso, però, pareva esser privo di forma, di fisicità.

Pareva l'entrata per il Sole e il Cavaliere che era ancora ipnotizzato dalle voci non aveva altra scelta che solcarla.

La sua determinazione, però, lo portò a ribellarsi a quelle fatali illusioni. Di getto sguainò la spada e con forza la conficcò sulla stretta parete bluastra del baratro.

Dopo aver perforato la roccia, la spada si stabilizzò fermando la caduta dell'Ultimo degli Ultimi. Ora il Cavaliere si reggeva all'elsa della sua spada, con tutta la sua forza, con tutta la sua volontà.

Aveva paura, però. Ansimava. Non aveva quasi più fiato in corpo. Gli era rimasta solo un'opportunità: sparare il più potente getto d'acqua dall'alto verso il basso al fine di risalire l'infinita strettoia.

Con l'ultimo brincello di forza che aveva si tirò su dall'elsa della spada e facendo leva con essa sparò nella roccia la vampata più forte che il suo gladio potesse generare.

Il Cavaliere venne schizzato verso l'alto da un grande zampillo, prossimo ad abbandonare le più remote profondità della Stella a Quattro Punte. I suoi cristallini occhi si cosparsero di giubilo quando vide la velocità a cui stava andando, tutt'al più la sua guisa gelatinosa l'avrebbe coperto da qualsiasi urto.

Il primo getto d'acqua finì. L'Ultimo degli Ultimi riconficcò l'arma nella roccia del baratro per ripartire.

Una volta ripreso fiato incominciò a ricaricare la spada. Tuttavia le voci che non avevano mai smesso di perseguitarlo pareva fossero diventate concrete.

A tentoni prima si facevano più forti nel suo orecchio sinistro e poi in quello destro, scaturendo un sibilante crescendo che gli perforava l'animo.

Il Cavaliere cedette a quell'oscuro vociare; ebbe giusto la tenacia di risfoderare la spada dal muro di pietra e riportarla con sé nella sua seconda caduta prima di svenire.

I suoi occhi si chiusero; la sua bocca rimase semiaperta; e l'acqua smise di scorrere in lui durante il suo deliquio nel vuoto.

La sua caduta, ovviamente, non cessò. Quell'arancione, per l'Invocato dell'Acqua, da astratto che era, si fece sempre più palpabile, fino a finirci dentro.

Dopo qualche ora, il Cavaliere si risvegliò. La sua peculiarità gelatinosa l'aveva fatto uscire indenne da quell'infinito e umbratile blu.

Si ridestò sopra d'una montagnola di granulato grigiastro. Dopo averla discesa poté scorgere con attenzione dov'era finito. Era circondato da terra rossa cremisi dotata di sentieri erratici un poco più sbiaditi per segnare la strada, la quale portava alla meraviglia quale era quel posto: una città eretta totalmente in granito colorato da un intenso bianco tendente al grigio.

I bordi di tutte le costruzioni dell'espansa contrada erano un poco insozzati dal colore rossastro della terra che li circondava, rendendo le case oltreché candide anche un poco vermiglie.

Anche l'argentea corazza del Cavaliere era stata lordata per bene da quel miscuglio di terre di quell'incredibile posto sotterraneo. Sicché, tinto un po' dal pigmento del suo acerrimo nemico, incominciò ad avventurarsi in quelle aride terre cremisi.

Le Cronache Scarlatte - Il CavaliereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora