24. Hísimë - Novembre

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"Perché non ti uccidi?"

La prima lettera anonima era arrivata ad inizio mese. Diceva solo:

"So chi sei"

La seconda diceva:

"Se sei un figlio dei Cadai, vattene via dal paese. Va' dove non ci sono persone da uccidere, ma soltanto animali"

La terza diceva:

"Finiscila"

Proprio così: finiscila, e basta. E stavolta:

"Perché non ti uccidi?"

Perché non ne ho voglia, pensò con petulanza Lycaon. Tutto ciò, qualunque cosa sia, non è colpa mia. Non sono stato morsicato da un lupo, né maledetto da una strega. È solo... successo. E non mi ucciderò. Ma sarai tu a morire.

Il freddo novembrino era arrivato a Cloud City e sul reverendo Lycaon era calata la sensazione di essere ormai in trappola. Proprio come si sentirebbe una volpe, quando si accorge che i cani sono riusciti a metterla con le spalle al muro.

Sulla lettera, come sempre, non c'erano saluti. Ma, a differenza delle altre, su questa c'era la firma: "Xeo" ed in mezzo al foglio a righe da scolaro c'era una sola frase: "Perché non ti uccidi?"

Il reverendo Lycaon si portò una mano alla fronte, tremando. Con l'altra mano accartocciò la lettera e la buttò nel caminetto acceso, non la guardò nemmeno mentre il fuoco la divorava in una morsa fiammeggiante.

Lycaon aveva preso coscienza di ciò che egli era in due stadi. Dopo il terribile incubo di maggio, il sogno in cui tutti i suoi discepoli diventavano lupi mannari, e la scoperta del cadavere dilaniato del sagrestano Carnifinde, aveva cominciato a rendersi conto che qualcosa era... era come sbagliato in lui. Esatto. Non riuscì ad esprimerlo meglio: qualcosa di sbagliato. Ma sapeva anche che certe mattine, di solito nel periodo in cui la luna era piena, si svegliava sentendosi sbalorditivamente bene, sbalorditivamente forte, sbalorditivamente sano. La sensazione calava e cresceva con la luna.

Dopo l'incubo e la morte di Carnifinde, era stato costretto ad ammettere altre cose, che in precedenza era riuscito a ignorare. Vestiti infangati e strappati. Lividi e graffi di cui non riusciva a spiegarsi l'origine. Era riuscito anche a non far caso alle tracce di sangue che qualche volta notava sulle mani... e sulle labbra.

Poi, a luglio, era cominciato il secondo stadio. Detto in parole povere: si era svegliato senza un occhio. Come nel caso di ematomi ed escoriazioni, non aveva sentito alcun dolore, e al posto dell'occhio sinistro c'era soltanto un'orbita vuota, pesta e bruciacchiata.

A quel punto non poteva più continuare a negarlo a se stesso: era lui la Bestia, era lui il lupo mannaro.

In tutto ciò, il reverendo non ricordava nulla di quello che faceva quando diventa il Ráca Nauro, provava solo quell'euforia, quel senso di benessere quasi alcolico dopo, e quella frenesia attiva prima.

E, in quegli ultimi tre giorni, aveva provato le solite sensazioni: una gran voglia di muoversi, un'impazienza euforica, e una certa tensione muscolare.

Stava succedendo di nuovo: la metamorfosi si avvicinava.

Quella sera, la luna sarebbe sorta piena.

Così cominciò a camminare sempre più in fretta, chino in avanti, senza accorgersi che la barba cresceva ispida e dura, e che il suo unico occhio aveva preso un riflesso giallognolo e che col passare del tempo si sarebbe incupito fino alla tonalità opale che avrebbe assunto a notte fonda. Si chinò sempre di più, e cominciò a parlare da solo... ma le parole diventarono sempre più sorde e indistinte, sempre più simili a un ringhio.

LEO e la leggenda del Regno di LuceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora