22. Yavannië - Settembre

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La stagione avanzava e mentre il plenilunio si avvicinava i terrorizzati abitanti di Cloud City aspettavano che il tempo rinfrescasse, ma non si rinfrescava mai. In quest'angolo di mondo l'estate resisteva imperterrita. La temperatura non scendeva sotto i ventiquattro gradi ed i ragazzi litigavano per motivi ancor più futili del solito.

Quel giorno, Xeo, scocciato, aveva spinto a terra un elfo solo perché aveva parlato male della sua famiglia. Diciamo che Xeo non avrebbe mai usato le mani, ma Turondo (colui che adesso si ritrovava riverso al suolo con un labbro spaccato) aveva bisbigliato male parole alle spalle di Xeo, che non ci aveva più visto. Andava bene tutto, ma non si sarebbero mai dovuti permettere di sparlare alle sue spalle.

«Xeo?» domandò Beleg, esterrefatto. L'amico non si era mai comportato in quel modo.

«Gli ho dato un colpetto da niente. Se avessi fatto sul serio avrebbe dormito ancora adesso, ti pare?» rispose il colpevole di quella ferita al labbro.

«Sì, ma...» e Beleg si immobilizzò. Come il resto dei presenti.

Nessuno respirò più e nessuno sbatté più le palpebre per rinfrescare gli occhi. Erano semplicemente divenuti statue. O immagini di un dipinto, dato che anche il cielo si era immobilizzato ed il sole non emanava più il suo calore.

Da non lontano arrivò un suono: un battito di mani, accompagnato da parole di elogio.

«Bravo Xeo, combatti ancora»

A parlare fu la figura incappucciata vestita di nero, che adesso si avvicinava al giovane elfo.

Era la stessa dell'altra volta? No, impossibile.

Questa è... diversa.

«Non ti ricordi di me?» lo sconosciuto si levò il cappuccio rivelando una folta chioma di capelli, raccolta all'indietro in una cipolla «Sono io, Ximon» poi si sistemò la barba con le dita della mano.

«Ximon?» i bollenti spiriti di Xeo si spensero con l'arrivo dell'uomo. Ora non era più arrabbiato, solo curioso.

Come mai tutte quelle visite nell'ultimo periodo?

«Vuoto di memoria, eh?»

«C-cosa sta succedendo? Rispondimi»

«Questa è la sua città, la sua creazione. Il che significa che non abbiamo tempo per le domande» ma di chi stava parlando? La città di chi? Creata da chi? «Verrai con me, volente o nolente»

Il respiro si fece corto e irregolare. Cominciò a sudare freddo, anche sulle braccia. Sentiva il cuore in gola, il battito gli rimbombava nelle orecchie. Con tutto il fiato che gli era rimasto, Xeo urlò: «Che cosa sta succedendo?»

«Tu sei Xeo, il numero 10, il prescelto di Ignis

Il prescelto di che?

Era la prima volta che sentiva parlare di Ignis. Che cos'era? Quali altre cose non sapeva?

Ma soprattutto, lui, Xeo, chi era?

Non lo sapeva più.

Lui era un elfo, lo era sempre stato. Viveva a Cloud City, come ricordava. Aveva due genitori e degli amici che gli volevano bene.

Poi? Che altro? Cosa ci poteva essere di più?

Si alzò il vento, il primo vento fresco di quella lunga estate, anche se il mondo attorno a lui rimase immobile. Da quel vento comparve una nuova figura misteriosa.

L'ultimo arrivato vestiva di rosso e aveva sul volto una maschera bianca con su raffigurante un ghigno malefico.

«Xeo, questo tizio dice sciocchezze» disse Sconosciuto in rosso.

«Xeo, non farti imbrogliare» controbatté Sconosciuto Ximon.

«Xeo!»

«Xeo!»

«Xeo!»

«Xeo!»

«Xeo!»

«Xeo!»

«Xeo!»

... avevano cominciato a chiamarlo imperterriti.

Un dolore intenso e pulsante si fece largo nella sua testa. Il male era incessante, trafittivo e lancinante. E, con le fitte, arrivò a braccetto anche la nausea e la voglia di vomitare.

Xeo si coprì le orecchie con i palmi delle mani, schiacciandosi la testa, sperando che quella tortura finisse presto.

«Basta» sussurrò «Basta» disse «Basta» alzò sempre di più la voce «Basta» e alla fine urlò «Basta

Tutto tacque, o meglio... tutto tacque nella sua testa, poiché all'esterno, a Cloud City, Beleg lo stava rimproverando per aver attaccato un giovane elfo, solo perché aveva parlato male di lui e della sua famiglia.

Xeo rinvenne, e con occhi strabuzzati afferrò l'amico per le braccia, strattonandolo «Dove sono andati?» domandò «Dove sono andati?» sbraitò contro l'amico, con le lacrime agli occhi.

Beleg lo bloccò, appena si liberò dalla sua presa «Di chi stai parlando, Xeo?»

Ritornato alla realtà, il giovane elfo si guardò attorno. Dei due sconosciuti non c'era più l'ombra.

«Nessuno» rispose «Nessuno»

Quanto tempo era passato da quando Leo aveva salutato Zoe l'ultima volta?

La risposta era: troppo. Leo mancava da troppo tempo!

Erano passati quasi due anni da quando era iniziata la loro avventura, ed erano ancora dei ragazzi quando la tempesta si abbatté sull'Arcipelago del Tritone. Adesso erano cresciuti e Zoe contava i giorni da quando si era separata dal suo eroe. Ma lei non sapeva che da quando i mondi erano tornati alla Luce, dopo aver chiuso la Porta per il Regno, Leo aveva intrapreso una nuova avventura. Non sapeva cosa fosse successo durante tutti quei giorni distanti: Leo aveva attraversato un immenso Castello, dimenticando il suo passato e poi si era addormentato, e lui, ancora adesso, stava riposando, cercando di recuperare i ricordi andati perduti. Ma Zoe non poteva neanche immaginare ciò che stesse succedendo e non poteva fare altro che aspettare, e per darsi forza si aggrappava alla loro promessa fatta.

«Leo...» disse al ragazzo, immaginandoselo lì accanto a sé «Questa è per te» e Zoe prese una bottiglia di vetro dallo zainetto che portava sulle spalle, con al suo interno una lettera arrotolata con cura «Spero che ti arrivi» poi si avvicinò alla riva dell'Arcipelago, lasciando che l'acqua le bagnasse i piedi e le scarpe. Baciò la bottiglietta, sentendo il freddo del vetro sulle sue labbra e la lasciò cadere in mare. Con la corrente questa si allontanò galleggiando, fino a che di lei non rimase altro che uno scintillio lontano nel blu.


Reintegrazione al 81%

LEO e la leggenda del Regno di LuceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora