LEO e la leggenda del Regno di Luce

4. Terre Desolate

Prima di partire per il loro viaggio dal Medioporto, Newt aveva imposto una regola, ma per Leo non era facile rispettarla.

In quella Terra di Mezzo, un mondo cardine che fungeva da punto di incontro tra infiniti universi, aveva visto creature più bizzarre di qualsiasi immaginazione. Per la prima volta in vita sua, si sentiva diverso, non un semplice umano tra tanti. Lui era l'umano, l'unico rappresentante della sua specie in quel brulicante crogiolo di razze fantastiche. Tra satiri, goblin, folletti, amadriadi e innumerevoli altri esseri, si sentiva orgoglioso di essere ciò che era. Newt era un mago, Febo possedeva il DNA di un elfo, ma lui era un uomo, e ne era fiero. Eppure, in quell'accozzaglia di creature fantastiche, Leo non trovò ciò che realmente stava cercando: i suoi due amici, Tom e Zoe. La loro assenza lo demoralizzava e lo intristiva. Come poteva partire per nuove avventure, senza i due compagni che da sempre lo avevano affiancato nelle sue fantasie? Erano cresciuti insieme, avevano condiviso gioie e dolori, affrontato pericoli e sfide. Erano la sua famiglia, e senza di loro si sentiva solo e spaventato.

«Ricordi cosa ti ha detto Newt?» domandò Febo, vedendo il possessore di Ignis con lo sguardo spento e perso nel nulla «Niente broncio, niente faccia triste. Sono le regole»

Ma come poteva essere felice, se non aveva accanto a sé le due persone più importanti della sua vita? Così alzò gli occhi da terra e vide i due emissari del Re sorridergli. Forse loro tre potevano diventare amici, ma di certo non avrebbero mai sostituito Tom e Zoe. E poi, una volta completata la missione di Merlino, non si sarebbero più rivisti, giusto? Allora perché fingere tanta allegria?

«Perché siete così felici?» incalzò Leo «Non c'è traccia del vostro Re Roland» ma la sua voce era tranquilla, non lasciava trapelare alcuna emozione «Non siete preoccupati?»

«Certo!» puntualizzò Newt «Ma il Re ci ha detto di cercare la Luce e noi abbiamo trovato te!»

Poi continuò Febo «Quindi se stiamo uniti, andrà tutto bene. Basta credere in se stessi!»

Bastava credere... e Zoe credeva in lui.

♥

Leo si sveglio con il corpo di Newt malamente gettato sopra le gambe e Febo era accasciato (in fase di ripresa di coscienza) non distante dagli altri due. Quando Leo si mosse, anche il mago si svegliò e si sollevò a sedere. Il ragazzo provò a muovere le estremità e ben presto la sensazione di intorpidimento scivolò nel fastidioso formicolio che precedeva la ripresa della sensibilità.

«Dove siamo?» chiese Febo con una vocina flebile.

Leo si guardò intorno, ma il suo sguardo non andò lontano. Si fermò sulle pesanti sbarre di cristallo che li imprigionavano in una gabbia angusta. Pali grezzi, scolpiti alla buona, si ergevano fino al soffitto altissimo, creando una barriera invalicabile. Intorno a loro, altre prigioni simili si susseguivano, in un numero che Leo non osò contare. A destra, Rhaegal giaceva ancora addormentato, ignaro del loro destino. A sinistra, un folletto dal manto blu elettrico fissava il vuoto con occhi spenti. E poi, intravide la sagoma di un satiro nella gabbia successiva. Ed infine...

Zoe.

Zoe era intrappolata non lontano da lui, ma i suoi occhi erano chiusi e il suo corpo immobile, come una statua di pietra. Era davvero possibile? Aveva perso la sua anima? No, non poteva essere! Leo si rifiutava di crederlo. Un grido disperato uscì dalle sue labbra, il suo nome echeggiò nella stanza gelida, sperando che il suono familiare della sua voce la risvegliasse, che un barlume di vita tornasse ad animare il suo corpo esanime. Ma invano. Zoe rimase immobile, distesa a terra come un pupazzo senza vita. Il cuore di Leo si spezzò in mille pezzi. Era lì, così vicina, eppure così lontana. Non poteva toccarla, non poteva parlarle, e un senso di impotenza lo schiacciò come una morsa di ghiaccio. Ma non si sarebbe arreso. Non ancora. Leo aveva fallito nella sua impresa, ma dentro di sé ardeva ancora la speranza di salvarla. Se lo sentiva, con tutta la forza del suo essere.