42. Brezza Albina All'Orizzonte

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Il Corvino Rosso iniziò a serpeggiare tra gl'ispidi rami dei canuti alberi dei Territori Candidi in cerca di quelle edeniche ciocche bianche, che l'avevano ammaliato come nel finale del Festival della Lama.

Le nevi continuavano ad esser percosse dalle violente folate di vento che lambivano e facevano cricchiare le miriadi di rami che cingevano Roselius. Si iniziava a far fatica a vedere.

Lui, però, era guidato da quella idilliaca visione, la quale lo portò a vedere in lontananza una languente luce baluginare.

Nell'aria, il Corvino, sentiva delle ridanciane risate che lo guidavano verso quel lucore ubicato nel mezzo di due alberi dal tronco assai più robusto.

In quell'aria glaciale vedeva delle piccole ciocche eburnee solcare la tempesta di neve.

Egli era portato ad anelare a quel fioco bagliore ceruleo proprio da quelle percezioni foriere di salvezza.

"Reveneria...oh bella Reveneria, ti vedo." diceva brancolando verso l'utopica luce.

Essa si faceva sempre più vicina, e le risatine sempre più vivide.

Dopo ogni passo che affondava nella neve, essa, per qualche inintelligibile motivo, si riformava e si riergeva.

Avvicinatosi adeguatamente alla luce, Roselius riiniziò ad acquisire un po' più di conoscenza e di senno.

"Siano benedette queste sacre lanterne!" esclamò.

Il Prigioniero della Perfezione s'appostò sotto quell'inastato fuoco blu contorniato da una teca di vetro rettangolare e con la schiena s'accasciò ad esso.

Mentre riacquisiva la ragione, le risatine che lo avevano accompagnato sino ad ora si ripalesarono.

"Hihihi" sentiva vivacemente fra le nevi. "Chi va là!" urlò seguitato da un forte eco accompagnato dal glaciale ululato del vento.

"Prostrati a me, chiunque tu sia!"

Ecco che in un baleno il Corvino Rosso venne circondato da tre fate glaciali che iniziarono a gironzolargli intorno amene.

Da quel poco che poteva scorgere a causa delle loro rapide aleggiate, Roselius vedeva delle creaturine canute grosse quanto la sua mano, con dei vivi occhi color ghiaccio aventi delle iridi nere come la notte e vestite da una tutina che aveva i lembi poco sopra le loro esili ginocchia.

Non pareva potessero dialogare, le uniche cose che fuoriuscivano dalle loro labbra paonazze erano delle giulive risatine.

Dopo l'ennesima volta che le ascoltò, il Corvino disse: "Voi...voi m'avete salvato. La vostra fievole risata m'ha salvato dal perdermi completamente in questo labirinto di legna...voi siete state la mia guida, ve ne sono grato."

Una fatina, all'udire di quel plauso, si fermò dallo svolazzare e si posizionò dinanzi il becco di Roselius con le sue vispe alette trasparenti color ghiaccio. Quasi non potevano esser scorte per quanto veloce si muovevano.

Lentamente s'appropinquò sempre di più e con le sue manine indicò la via al Corvino. Poi, dandogli un grazioso bacio sulla punta del suo elmo, si volatilizzò insieme alle sue compagne, accompagnata sempre da piccole risatine che eludevano un poco la bigia atmosfera di quella tortuosa selva.

Il Corvino Rosso era rimasto straniato da quel gesto; non credeva che potesse davvero esistere quel sentimento che tanto lo pervadeva; quel sentimento che lo ha portato a compiere quell'atto gravissimo.

Non credeva potesse mai esistere l'amore. Eppure, dopo quel gesto, il suo cuore si rinfervorò: e pregno di fiducia rincalzò col suo viaggio, ora che sapeva la via, bramando un nuovo obiettivo.

Ora Roselius voleva solamente salvare di nuovo la ragazza che aveva fatto diventare la sua spada sempre più nera, cospargendolo d'emozione.

La fata aveva semplicemente indicato al Corvino di proseguire dritto. Lui si fidava. Si fidava di coloro che l'avevano salvato.

Una peculiarità delle fate glaciali era la loro innata capacità di percepire i più reconditi pensieri delle Creature. La facoltà di parlare le avrebbe fatte diventare di certo un ottimo motivo di lucro per la Capitale Dorata; quindi, forse, era anche un bene per queste graziose Creature non aver la possibilità di parlare come l'Invocato dell'Acqua.

Quella fata aveva probabilmente capito i sentimenti di Roselius e gli aveva indicato da che parte fosse Brezza Albina, che fortunatamente non era così lontana.

Non gli era di certo facile orientarsi tra quegl'irti rami fitti, il Corvino Rosso, quindi, rimase sempre prospiciente al lume azzurrino del lampione per non disperdersi.

Di tanto in tanto, invero, si girava per accertarsi di star proseguendo sempre dritto.

Tra quegli alberi spogli che sembrava lo circondassero, si vedeva solo nero.

Ma solerte, Roselius proseguiva; infervorato dal desiderio di rivedere Reveneria.

Il vespro, nel frattempo, era calato sulla Terra dei Principi, ed il Corvino Rosso iniziava a vedere la luce posta nel fondo di quel tunnel fatto di rami. La luce della lanterna diventava sempre più minuta, invece quella dell'uscita era sempre più forte.

Era mista all'arancione e al bianco della bufera che non cessava.

Roselius, avvicinatosi sempre di più, iniziò a scorgere delle margherite tinte d'un bianco edenico.

Stupito il Corvino disse: "Meraviglioso questo fiore! Non credevo che fra le nevi potessi trovare qualcosa di più bello d'una Rosa Scarlatta! Sarà che sto avendo fortuna...spero che I Grandi Occhi Celesti continuino ad assistermi."

Lo stupore di Roselius era dovuto al fatto che in tutta Princìpia crescessero solo Rose Scarlatte, e nessun altro tipo di fiori (fatta eccezione dei fiori scarlatti che crescono solo sui fusti dei loro rispettivi rovi di piante).

Questo tipo di fiori cresce in tutti i biomi del regno. Sia nel deserto, sia nelle nevi, sia nelle praterie e nell'oro della Capitale Dorata.

Si, questo tipo di fiore può lasciare un'indesiderata sorpresa nei pavimenti delle case degli abitanti della città la quale tutta è d'oro. Invero, per riuscire a far sbocciare i suoi vermigli petali regali la Rosa Scarlatta ha bisogno solamente di zone pregne di sangue. Tutto il terreno di Princìpia, anche quello ove vi è costruito qualcosa, è quindi fertile per questa pianta.

Roselius aveva appena varcato quell'agognata luce, e con sua sorpresa si rese conto d'esser in un claustro d'alberi. Era circondato, e se voleva raggiungere Brezza Albina, la quale poteva già esser vista dato che era su una collina innevata. Per proseguire doveva attraversare un altro labirinto.

L'unica nota positiva era la sublimità della zona: colma di margherite bianche con come fulcro una paglierina corolla, gli alberi che facevano da oscuro contorno ed un assai peculiare albero posto al centro della pianura, il quale lasciò stupefatto il Corvino.

Le Cronache Scarlatte - Il CavaliereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora