34. L'OCCHIO

16 1 4
                                    

Mia moglie era petulante, aggressiva, impaziente, furba, opportunista, tendenziosa e falsa. Dunque non avrei mai creduto alla sua storia se non mi avesse fatto vedere l'occhio.

A sentire lei, tutto aveva avuto inizio durante il pomeriggio, mentre io ero al lavoro. Lei stava stirando: di colpo aveva iniziato a sentire dei sibili, dei tonfi, grugniti e altri rumori indecifrabili, tra i quali diceva di aver sentito anche alcune parole; ma pronunciate in una lingua che non era stata in grado di riconoscere. La cosa non mi aveva stupito troppo, dato che non era mai stata portata per i linguaggi stranieri, e lì per lì avevo pensato a un alterco tra ubriachi. Ma poi, beh...

Ci sono cose davanti alle quali è impossibile, e in alcuni casi anche sciocco, rimanere scettici; e l'occhio era proprio una di quelle. Grande come un pallone da calcio, con l'iride color dell'oro e la pupilla nera e allungata, da gatto, aveva – nonostante fosse stato staccato non si sa come dalla sua sede naturale – una sclera di un bianco ancora lattescente, luminoso, solcata da sottili venuzze color verde spento. Dalla parte posteriore pendevano, ormai disseccati e coperti di croste di quello stesso verde, i resti di nervi ottici lacerati con violenza. Dopo averli osservati a lungo, girando intorno all'occhio posato sulla veranda posteriore della nostra villetta, ammisi che forse erano quelli la cosa peggiore, quegli strappi: se già era terrificante immaginare A CHI fosse appartenuto quell'occhio immenso, lo era ancora di più pensare che ci fosse in giro UN ALTRO ESSERE che era stato capace di strapparglielo.

Scendeva ormai la sera. Mi aspettavo di vedere segni di lotta, tracce di quell'inquietante sangue verde, ma il giardino intorno alla nostra villa era perfettamente immobile e silenzioso, perfetto come lo avevo lasciato, senza nulla fuori posto. Lo feci presente a mia moglie, ma lei mi aggredì subito, accusandomi di darle della bugiarda: se lei aveva sentito quei rumori, quelle urla, voleva dire CHE LE AVEVA SENTITE. Punto e basta. Io guardai ancora una volta l'occhio, che non smetteva di perdere la sua brillantezza, e decisi che era meglio tacere.

Alla fine, quando il sole calò del tutto, rientrammo in casa.

– Beh? – disse mia moglie. – Allora? Che hai intenzione di fare?

– E che dovrei fare, scusa? Trovare il padrone di quell'occhio e ricordargli di venirlo a prendere? Sempre che sia davvero un occhio, ovviamente.

Fece una smorfia. – Perché, cosa dovrebbe essere?

– Non lo so. Qualche... strano animale sconosciuto? Oppure un... una protesi, una specie di effetto speciale. Magari qui intorno stanno girando un film, o qualcuno ha deciso di farci uno scherzo, e...

L'ipotesi, in effetti, era plausibile: io non avevo avuto il coraggio di toccare quell'occhio gigante, ma chi mi diceva che non fosse in realtà un oggetto artificiale, un pallone di gomma, di plastica, o di chissà quale altro materiale si usa nel cinema per creare oggetti tanto impossibili quanto realistici? Forse era caduto da un camion di qualche produzione, oppure era stato messo insieme da un gruppo di ragazzi che ora ci stavano osservando con un drone per controllare le nostre reazioni. O forse si trattava di un esperimento scientifico, un modo per valutare le reazioni della gente a eventi...

– Sei un cretino – disse mia moglie. – Quel coso è vero, fa schifo e puzza, e voglio che lo togli di mezzo subito.

– Ma se invece... e se io poi... e se qualcuno...

– Ho detto che devi toglierlo di mezzo! Lo voglio veder sparire, SUBITO!

Mi toccò uscire di casa armato di pala. Scavai una piccola buca nell'angolo più lontano del giardino, sotto la siepe, e infilai l'occhio avvolto in uno asciugamano, rabbrividendo appena quando lo sentii, caldo e morbido, tra le mie mani.

Stavo tornando indietro quando una voce che saliva dalle profondità della terra disse: – Grazie di avermelo restituito, umano. L'ho perso in battaglia, e pensavo di non ritrovarlo più.

Era una voce forte e profonda, simile al brontolio di un tuono lontano. Mi fermai all'istante, atterrito, e strinsi forte la mia pala.

– Non aver paura – disse la voce. – Sei stato gentile, e io ti ricompenserò. Esprimi un desiderio, qualsiasi desiderio, e io lo esaudirò per te. Sono un essere antico e dagli enormi poteri, e non c'è nulla che io non possa fare.

– Dici sul serio? – chiesi io.

– Sul serio – rispose la voce. – Esprimi un desiderio. Ma fallo in fretta: la mia pazienza ha un limite.

Che altro potevo fare? Ubbidii.

Ed è per questo motivo, signor Commissario, che nessuno al mondo ricorda più che ero sposato. 

FINE

❤️♠️❤️♠️❤️♠️❤️♠️❤️

NOTE

Nella prima versione di questo racconto, immaginato e mai scritto, chissà quanto tempo fa, quello che spuntava tra le rose del giardino era un frigorifero, cresciuto dal terreno come un dente gigante e lucido. Ma non ho mai capito cosa ci fosse dentro. Quindi ho leggermente cambiato le cose. Più facile, così. Forse troppo?

QUARANTASEIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora